L’appendice iblea del Processo di Verona. Sepolto a Ragusa il pm Andrea Fortunato (Foto e video)

di Giuseppe Calabrese

Il 18 maggio 1953 si svolsero nella Cattedrale di San Giovanni a Ragusa i funerali dell’avvocato Andrea Fortunato, morto due giorni prima a Parma. Non erano esequie ordinarie,  ma di uno dei protagonisti del capitolo più tragico del fascismo, il processo di Verona.

ESCLUSIVA – I funerali di Andrea Fortunato in Corso Vittorio Emanuele (oggi Corso Italia)

L’avvocato Andrea Fortunato, nativo di Patti in provincia di Messina, svolse le funzioni di pubblico accusatore nel processo celebrato nella sede di Castelvecchio dall’8 al 10 gennaio 1944 (di cui nel gennaio di quest’anno è ricorso l’80° anniversario) contro Galeazzo Ciano, genero di Benito Mussolini, e gli altri firmatari dell’ordine del giorno presentato dal presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni Dino Grandi nella riunione del Gran Consiglio del fascismo del 24 e 25 luglio 1943 con il quale nei fatti si arrivò alla destituzione di  Mussolini. Un’esperienza che costò molto cara al penalista pattese ed alla moglie Cirilla Di Falco chiamata amichevolmente Titti, di Ragusa, che fu anche preside dell’Istituto magistrale di Ragusa.

Subito dopo la Liberazione, l’avvocato Fortunato finì in carcere per due anni e fu sottoposto al procedimento di epurazione (riservato a tutti coloro che si erano compromessi con il fascismo, n.d.a.) e la sospensione dalla professione. Identica sorte toccò alla moglie, che fu privata dell’insegnamento. Inoltre, furono confiscati i beni di entrambi i coniugi. Eppure durante il processo di epurazione non mancarono le testimonianze a suo favore come penalista non condizionato dal regime e capace di battersi strenuamente per i propri assistiti. Un aspetto questo che  influì sulla scelta di pubblico accusatore, un ruolo scomodo per i fascisti che dovevano giudicare altri camerati.

Non a caso il Tribunale speciale straordinario della Repubblica sociale italiana (Rsi), istituito da Mussolini e voluto dal segretario del Partito fascista repubblicano Alessandro Pavolini con il decreto legislativo dell’11 novembre 1943 per giudicare con effetto retroattivo il “tradimento dei 19” nel Gran Consiglio del 25 luglio, era composto più che altro da avvocati e militari e da nessun giudice ordinario, a cominciare dal presidente Aldo Vecchini, noto penalista, medaglia al valore e console della Milizia, che cercò di schivare la nomina salvo poi chiedere di incontrare Mussolini per avere indicazioni, da Andrea Fortunato, penalista, insegnante di diritto, che rimase l’unico pubblico accusatore perché Vincenzo Cersosimo assunse successivamente le funzioni di giudice istruttore. 

Del Tribunale speciale. la cui composizione fu resa nota solo il 7 gennaio 1944, alla vigilia dell’apertura del processo, fecero inoltre parte Celso Riva, industriale torinese, sansepolcrista, squadrista combattente,  Renzo Montagna, generale di divisione dell’esercito, Franz Pagliani, chirurgo e professore universitario, Domenico Mittica, squadrista e generale della Milizia, Enrico Vezzalini, avvocato e prefetto, Vito Casalinovo, colonnello della Milizia, Otello Gaddi, tenente colonnello della Milizia, squadrista, decorato al valore e Gianbattista Riggio, squadrista, colonnello della Milizia.

La sentenza fu emessa il 10 gennaio 1944 ed eseguita l’11 nel poligono di tiro di Forte San Procolo mediante fucilazione alla schiena da un plotone di 30 militi fascisti comandati da Nicola Furlotti. Ad essere condannati a morte furono Emilio De Bono, quadrumviro della marcia su Roma, Luciano Gottardi, Galeazzo Ciano, Carlo Pareschi e Giovanni Marinelli, mentre la pena di Tullio Cianetti fu commutata in 30 anni di carcere. Gli altri 13 imputati furono condannati in contumacia. Si trattava dei latitanti Dino Grandi, il promotore dell’ordine del giorno del Gran Consiglio, l’ex ministro Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni, Cesare Maria De Vecchi, Umberto Albini, Giacomo Acerbo, Dino Alfieri, Giuseppe Bastianini, Annio Bignardi, Giovanni Balella, Alfredo De Marsico, Alberto De Stefani ed Edmondo Rossoni.

Esclusiva – Il verbale dell’esecuzione della sentenza firmato da Andrea Fortunato e dal cancelliere Tommaso Leucadito (Archivio centrale di Stato di Roma, Volume I, fogli n. 081958. 081959 e 081960)

Gli imputati furono riconosciuti colpevoli (Archivio centrale di Stato, Volume I, foglio n. 081955) <dei reati di tradimento ed aiuto al nemico…per avere – a seguito di più incontri e segnatamente nel voto emesso dal Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943 in Roma – in concorso tra loro, tradendo l’Idea, attentato – si leggeva nel dispositivo della sentenza – all’indipendenza dello Stato, ed aver nociuto, mediante l’azione più appropriata ad avvivare illusioni di una pronta pace qualunque; tanto alla resistenza del Paese quanto alle operazioni delle sue forze armate, prestando così aiuto al nemico>.

A nulla valsero le giustificazioni addotte dai firmatari dell’ordine del giorno Grandi. In particolare, il maresciallo d’Italia Emilio De Bono precisò (Archivio centrale di Stato, Volume I, fogli n 081904 e 081905) che <pensavo che era molto vantaggioso che il Re pigliasse il Comando supremo delle forze armate e ciò perché tutto lo Stato maggiore fosse interprete della volontà di lui. Mai pensai che il Duce dovesse lasciare il posto di Capo del governo>. Mentre Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, chiarì (Archivio centrale di Stato, Volume I, foglio 081921) che <la rinuncia da parte del Duce al Comando delle forze armate, ritenevo trattarsi di rinuncia formale perché in effetti, come in altri Stati, avrebbe continuato a condurre la guerra>.  

Il pm Fortunato e il giudice istruttore Vincenzo Cersosimo durante il processo (Archivio Luce) 

L’avvocato Fortunato non aveva credenziali propriamente fasciste, se non il fatto che era un ex ufficiale superiore e mutilato della Prima guerra mondiale. Il penalista infatti era di idee liberali. Negli anni ’20  quando frequentava l’Università di Catania, durante i quali conobbe la futura moglie, aderì all’associazione “Il Soldino”, di cui facevano parte persone contrarie al nascente fascismo. Tant’è  vero che il segretario federale del Fascio di Novara Filandro De Collibus, in una lettera del 29 marzo 1933, gli chiese: <La prego di specificarmi le ragioni per cui nel 1924 e 1925 non ha ritirato la tessera del partito>.

Oltretutto ai suoi funerali nel capoluogo ibleo, ai quali parteciparono numerose persone, presero parte anche esponenti molto in vista dell’antifascismo ragusano come i socialisti Angelo Giampiccolo e Giovanni Lupis. Tra l’altro, l’avvocato Filippo Lupis assunse la difesa di uno dei componenti del Tribunale speciale straordinario di Verona, il generale dell’esercito Renzo Montagna, luogotenente della Milizia, che diversi anni dopo, nel numero 27 di Oggi illustrato del 1978, rivelò i retroscena delle tre ore di camera di consiglio e della sentenza di morte a carico dei congiurati del Gran Consiglio.

ESCLUSIVA – Angelo Giampiccolo (a sinistra) rende omaggio al feretro di Andrea Fortunato

Il penalista pattese si rese conto solo più tardi della grande responsabilità che si era assunto per essersi reso strumento di una “vendetta” all’interno del fascismo che mal si conciliava con il rispetto della legalità e del diritto, che invece aveva posto alla base della sua attività professionale, come emerse in grande evidenza nel processo di epurazione. Come nel caso di Antonio Caredda, l’ex maresciallo delle carceri di Brescia, processato dal 23 al 25 luglio 1944 insieme al direttore Pandolfelli ed a nove agenti di custodia, che rischiarono la pena capitale per concorso in evasione dolosa di 240 detenuti, in gran parte politici e di cui uno condannato a morte.

<Non ci fu richiesto – testimoniò per iscritto Caredda il 7 dicembre 1948 quando era ormai in servizio a Porto Empedocle – nessun onorario né dagli avvocati di Brescia né dall’avvocato Fortunato, anzi quest’ultimo è venuto tre volte in macchina da Verona acquistando perfino la benzina alla borsa nera. Il 25 luglio, giorno della conclusione del processo, l’avvocato Fortunato – aggiunge l’ex maresciallo della carceri di Brescia –, ancora sotto l’impressione della richiesta del Pm per la pena capitale nei miei riguardi, teneva la macchina pronta davanti all’edificio della Corte d’Appello per correre subito da Mussolini a chiedere la grazia qualora fosse stata confermata>.

L’incarico di assumere la difesa di Caredda, Pandolfelli e dei nove agenti di custodia gli era stato conferito per conto del Cln (Comitato di liberazione nazionale) di Brescia dall’avvocato Bruno Marini. Durante il processo – confermò l’avvocato Marini il 6 dicembre 1948 – il Fortunato mantenne un atteggiamento coraggioso e sprezzante sotto certi aspetti: fu allora opinione generale che solo al suo intervento si dovesse la vita degli imputati. Per incarico del Partito d’azione consegnai al Fortunato lire diecimila. Egli, dal canto suo aveva affrontato – concluse – ingenti spese di benzina, di viaggio e di soggiorno in occasione di visite a ministeri e personaggi vari>.

Giuseppe Calabrese

Foto di copertina: Istituto Luce -Roma

Angelio Giampiccolo, Benito Mussolini, Cirilla Di Falco, Dino Grandi, Filippo Lupi, Galeazzo Ciano, Tribunale speciale

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