Un “influencer” di Chiaramonte alla corte di Mussolini. La scalata di Telesio Interlandi e la Difesa della Razza

( di Giuseppe Calabrese)Se Telesio Interlandi fosse vissuto al tempo dei social sarebbe stato sicuramente tra i più accreditati “influencer” per la capacità pervasiva e di penetrazione nella politica e nella società, oltre che nel coinvolgimento di ambienti culturali non proprio fascisti.

Il giovane venuto del profondo sud, originario di Chiaramonte Gulfi, scalò in pochissimo tempo tutti i gradini della professione fino ad arrivare a dirigere tre giornali. Interlandi iniziò la sua irresistibile ascesa nel 1913 a Catania dove aveva appena completato gli studi superiori. A soli 19 anni diventò capo redattore del Giornale dell’Isola e, subito dopo la prima guerra mondiale, lavorò per diversi quotidiani: da La Nazione di Firenze, per conto del quale svolse le funzioni di inviato speciale alla marcia su Roma, al Travaso delle idee, giornale satirico romano. Sempre nei primissimi anni ‘20, fu capo redattore dell’Impero di Mario Carli ed Emilio Settimelli, un quotidiano fascista per il quale creò una rubrica breve ed efficace dal titolo “Colpi di punta”.

Telesio Interlandi da giovane (da Dagospia) e con Benito Mussolini (da Bresciaoggi)

Le prime esperienze professionali nell’ambiente etneo consentirono ad Interlandi di intercettare sin dal 1914 l’avanguardia futurista di Filippo Tommaso Marinetti. A Catania aveva conosciuto figure come Antonio Bruno, Giovanni Cernobbi ed il poeta Mauro Ittar, tre giovani che nel 1915 diedero vita al quindicinale Pickwick. Un’esperienza che durò poco meno di tre mesi. Uscirono infatti solo cinque numeri. Sempre a Catania, conclusasi la grande guerra, gli esordi giornalistici furono accompagnati anche dall’iniziazione massonica nella loggia “Aurora”. Le premesse c’erano tutte per un rampantismo senza freni. La sua prosa sferzante ed il suo carattere deciso fecero il resto.

L’intellettuale chiaramontano fu soprattutto un fascista anti sistema capace di ironizzare contro ogni forma di conformismo all’interno del regime e perfino di prendersi gioco di alti esponenti del fascismo come il ministro dell’Educazione nazionale e delle Corporazioni  Giuseppe Bottai, l’ex ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile o l’architetto Marcello Piacentini, maggior esponente ed ideatore dell’architettura e dell’urbanistica neoclassiche fasciste, fino al punto da non esitare da direttore del quotidiano Il Tevere a cestinare durante le riunioni di redazione le veline che arrivavano dal Minculpop, il ministero della Cultura popolare. Carattere fumantino e personalità forte, poco disposta ai compromessi, ma in tutto organico al regime e disposto senza riserve a sostenere in toto il disegno mussoliniano, fino alle estreme conseguenze.

Caffè la rubrica umoristica domenicale de Il Tevere

Ma i rapporti di Interlandi con la città natale furono fin da subito tempestosi. Spinto dal padre Giovanni chiamato “Vanni”, l’intellettuale entrò in conflitto nel 1928 con il fascio di Chiaramonte Gulfi a seguito della nomina di un comitato per festeggiare il sesto anniversario della marcia su Roma, esprimendo seri dubbi sulla composizione dello stesso ed attaccando il dirigente di pubblica sicurezza con un trafiletto pubblicato il 24 ottobre sulle colonne de Il Tevere all’interno della rubrica umorista domenicale Caffè. <Un commissario di P.S. funzionante da Commissario Regio in un Comune del Regno, – contestò – ha creduto opportuno di nominare un comitato in vista della celebrazione del 28 Ottobre. Fanno parte dell’opportuno comitato tre espulsi dal Fascio locale. Si prevede – aggiunse sferzante – una celebrazione degnissima”. Lo scontro aveva avuto inizio nel settembre 1928, quando era stato sciolto dal prefetto di Ragusa, Francesco Rosso, un circolo fascista intitolato proprio a Telesio Interlandi  (Archivio di Stato di Ragusa).

La copertina di “Pane bigio” e la dedica di Interlandi

Non per niente l’influenza dannunziana ebbe un indiscusso peso sull’impostazione dell’intellettuale ibleo, fortemente attirato dal fascismo rivoluzionario della prim’ora. Il suo pensiero politico lo espresse già nel suo primo saggio dal titolo “Pane bigio”, pubblicato nel luglio 1927 per i tipi dell’editore L’Italiano, con la prefazione di Vincenzo Cardarelli, e stampato in soli dieci copie con dedica “Ai camerati della Federazione di Ragusa”. <Ecco come nasce lo Stato fascista – sostenne –, che non è più borghese, come non è proletario. Lo Stato fascista è popolare, nel senso più lato della qualifica, in quanto è il supremo coordinatore degli sforzi e degli interessi di tutto il  popolo. Lo Stato moderno non può più essere concepito come una grande società anonima, da gestire con criteri borghesi; né può essere concepito come una immensa officina da gestire con criteri operai>.

Una prima pagina del quotidiano Il Tevere

La piena saldatura con il fascismo si realizzò già dal 1924 quando il giornalista di Chiaramonte Gulfi  assunse la direzione de Il Tevere. Un’operazione tutta interna al fascismo, finalizzata a creare un’informazione di rottura rispetto alle posizioni del regime, al fine di intercettare il consenso dei gerarchi duri e puri come Roberto Farinacci. Sulle ceneri del Corriere Italiano, chiuso all’indomani dell’arresto del direttore, Filippo Filippelli, coinvolto nel sequestro di Giacomo Matteotti, Mussolini affidò ad Interlandi il mandato di creare un nuovo quotidiano fascista, più battagliero ed in polemica con il quotidiano ufficiale, Il Popolo d’Italia, con editore l’imprenditore romano Domenico Vannissanti, che nel 1926 però si ritirò. Fu così che Mussolini ruppe gli indugi e finanziò il giornale in modo diretto con i fondi della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Un particolare di Telesio Interlandi (da Avvenire)

Sin dai primi anni del regime fascista, d’altro canto, l’intellettuale siciliano e Il Tevere non avevano nascosto le loro simpatie per le teorie razziste e antiebraiche. Frequenti erano le sortite antisemite del giornale romano, tanto da meritare nel 1926 l’attenzione compiaciuta di Alfred Rosenberg, il teorico nazista dell’antisemitismo. Con la promulgazione delle leggi razziali in Italia, Interlandi ruppe ogni indugio, semmai ne avesse avuto alcuno, e pubblicò nel settembre 1938 “Contra Judeos”, una primo volume di articoli polemici usciti sin dal 1934, nell’ambito della raccolta “Biblioteca” del quindicinale La difesa della razza.

<La storia di tutte le conquiste insegna quale danno ha portato ai conquistatori e ai conquistati la confusione del sangue – spiegò infatti Interlandi senza tanti giri di parole –, una promiscuità sessuale che la scienza condanna come la via più agevole per la degenerazione dei tipi umani. L’apparizione dei meticci, dei mulatti e dei zambos, dagli incroci tra indiani e bianchi, tra bianchi e neri e tra neri e indiani costituisce un punto scuro della storia dell’umanità. Le osservazioni scientifiche più accurate sono concordi, oramai, nell’affermare che l’evoluzione delle razze per incrocio si compie in senso “disgenico”: i tipi superiori sono assorbiti dai tipi inferiori>.

Un crescendo rossiniano che portò il giornalista chiaramontano ad assumere nel 1938 la direzione de La difesa della razza, che divenne nei fatti il “foglio armato” della politica antisemita in Italia, Sin dall’uscita del primo numero il 5 agosto 1938, il quindicinale potè contare su un poderoso sostegno finanziario e politico, accompagnato da una martellante campagna pubblicitaria. In particolare, il ministro dell’Educazione nazionale Bottai, con una circolare del 6 agosto 1938, inviata a tutti i rettori delle università ed a tutti i direttori degli istituti scolastici superiori, invitava in modo energico tali istituzioni a contribuire alla diffusione capillare della rivista e all’assimilazione diligente dei suoi contenuti. Un fascicolo conservato nell’Archivio Centrale di Stato di Roma ci descrive la curva di diffusione. La tiratura  passò dalle 140-150.000 copie dei primi numeri alle 19-20.000 copie del periodo luglio-novembre 1940, delle quali circa 9.000 distribuite come abbonamenti.

Il primo numero de La difesa della razza del 5 agosto 1938

Il comitato di redazione de La difesa della razza era formato da nomi illustri del mondo accademico: Guido Landra (l’estensore del Manifesto della razza), Lidio Cipriani (professore di Antropologia a Firenze), Leone Franzì (assistente nella Clinica pediatrica dell’Università di Milano), Marcello Ricci (assistente di Zoologia nell’ateneo romano) e Lino Businco (assistente di Patologia all’Università di Roma). A partire dal 20 settembre del 1938 segretario di redazione fu Giorgio Almirante, che prima nell’immediato dopoguerra, dal 1948 al 1950, e poi dall’inizio degli anni ’70, dal 1969 al 1987, fu segretario del Movimento sociale-Destra nazionale . Vi collaborò anche il famoso pensatore tradizionalista Julius Evola, che però fu cacciato nel 1942 con l’accusa di essere “comunista” e “anti-razzista”. Tra i collaboratori della rivista ci furono anche il giornalista Indro Montanelli ed i politici Giovanni Spadolini ed Amintore Fanfani, che nel dopoguerra ricoprirono alte cariche nell’Italia democratica.

Ad esprimere tutto il senso del contenuto de La difesa della razza un articolo pubblicato il 5 maggio 1942 firmato dal segretario di redazione Giorgio Almirante. <Il razzismo – sostenne il futuro leader del Msi-Dn – ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti – scrisse ancora Almirante – finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue».

(1 – continua)

Benitu Mussolino, Curriere Italiano, Filippo Tommaso Marinetti, Giogio Almirante, Idro Montanelli, Leggi Razziali

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


PUBBLICITÀ

Collabora con noi

Vuoi pubblicare un annuncio o effettuare una segnalazione?



Il Domani Ibleo © 2021. Tutti i diritti riservati. Designed by Ideology Creative Studio 

La testata e la linea grafica della testata è stata realizzata da Ariel Garofalo. www.arielgarofalo.com Email: arielgarofalo@gmail.com

Change privacy settings