Franco Ruta e basta! Il perchè della targa senza riferimenti nel vicolo a lui dedicato a Modica
Franco Ruta non nasce cioccolatiere, fu fotoreporter, pioniere nella radio, ma anche tecnico di laboratorio analisi per l’Azienda sanitaria locale, dove lavorò finché non rilevò la caffetteria di suo padre che decise di rivoluzionare
AGI – “Cosa mettiamo nella targa? Imprenditore? Cioccolatiere?”, chiesero a Pier Paolo “Nulla – rispose -, nulla. È stato Franco, solo Franco”.
A parlare è Pier Paolo Ruta, figlio di Franco Ruta a cui un mese fa è stato intitolato il vicolo in cui l’Antica dolceria Bonajuto ha il suo quartiere generale, dove si fa il cioccolata a Modica.
Un visionario, Franco Ruta, forse un sognatore o un precursore del futuro, di certo un appassionato, morì nel 2016, in casa, a 72 anni, un infarto che non gli lasciò scampo. Che peso ha questa targa? E dopo due ore quasi di ricordi e di aneddoti, Pier Paolo crolla e piange.
“Glielo dovevano, è un atto di giustizia“. Appassionato cultore della bellezza di Modica, portava le sue tavolette di cioccolato in giro per il mondo, “Sì, le portava proprio, ma assieme alle tavolette non poteva mancare qualche libro che raccontasse la storia di Modica, della sua gente; quando un personaggio lo appassionava, il modo per conoscerlo lo trovava da sè e non chiedeva nulla a nessuno. Era maniacale nella ricerca degli ingredienti migliori, vedeva in quelle tavolette un modo per fare amare la sua città, Modica, che forse non lo ha mai capito”.
Una delle frasi che Franco Antonio Belgiorno, giornalista, scrittore e grande amico, diceva spesso a Pier Paolo era che “Modica è matrigna da una parte ti abbraccia e dall’altra ti avvelena e spesso questa è la sensazione che si continua ad avere – racconta Pier Paolo -, non so se è frutto di ignoranza o del fatto che sai di appartenere a un nobile casato ma improvvisi senza sapere nulla del passato. E senza le basi…”.
Franco Ruta, era per nulla legato ai soldi, ricorda ancora il figlio, “qualche volta ero io che gli facevo da padre, facendolo tornare con i piedi per terra” era disinteressato alle cose materiali.
“Non ha perso mai la gioia, non si è mai ritenuto depositario di alcuna verità ma ricercava sempre nuovi progetti nuovi orizzonti, era almeno vent’anni avanti a tutti. Aveva mille idee e quando ne realizzava una o iniziava ad annoiarsi si dedicava a un altro progetto. Amava i giovani determinati, era un grande motivatore”.
Dal racconto di Pier Paolo pare quasi che Franco Ruta fosse in grado di vedere l’essenza delle persone, di scoprire quali fossero le aspirazioni di chi gli stava davanti e al quale consegnava i suoi racconti appassionati.
Accarezza un bracciolo sulla sedia: “Questa era la sedia di papà” dice, sommerso nello studio che trasuda progetti, storie e ricordi. Fave di cacao, preparazioni sperimentali, cataloghi e libri. E le foto, e una moto, una vespa. E una pagina di diario dove Franco Ruta appunta: “Ore 16. 20 Gen 64. Credo fermamente e solamente nella continua ricerca, nella continua conquista di nuovi valori. La mia vita deve essere tesa a questo”.
Facciamo un passo indietro. Franco Ruta non nasce cioccolatiere, fu fotoreporter, pioniere nella radio, ma anche tecnico di laboratorio analisi per l’Azienda sanitaria locale, dove lavorò finché non rilevò la caffetteria di suo padre che decise di rivoluzionare ma senza perdere le radici, anzi ricercandole con convinzione e pervicacia nel 1992.
“Ha avuto visione e tempo futuro, che non esiste nel nostro linguaggio, vedendo tutto ciò che ha fatto e ciò che quotidianamente mi ritorna, ha cambiato il volto di Modica anche attraverso la cioccolata”, racconta Pier Paolo, “vedeva la bellezza che io non riesco a trovare sempre. Qualunque cosa anche la più dolorosa, lui trovava il modo per metabolizzarla e andare avanti. Ciò che torna? Faccio un esempio. Un signore messicano che arriva alla dolceria e mi chiede come facciamo ad avere il cioccolato di sua nonna. O chi viene per raccontarmi un aneddoto, un incontro con papà. Ecco, Franco Ruta era riuscito a fare della diversità ricchezza, e non è frase fatta. Aveva trovato un pezzo di memoria ricostruendo la tecnica dell’arte della cioccolata, con gli ingredienti migliori, un anello che mancava. Nel dolciario ci sono influenze diverse, riappare il concetto della diversità, non essere migliore. Papà non lavorava per essere migliore ma per attingere a un patrimonio esistente e che stava scomparendo, voleva riproporlo con una serie di migliorie, dosaggio, zucchero, dimensioni”.
Erano gli anni in cui di parlava di ‘scioglievolezza della cioccolata’ e la tavoletta di modica era sgradevole all’assaggio e alla vista, era come l’ambra grezza. Insomma, potenzialmente cioccolato ma ancora non era quello che voleva”. Poi la stampa internazionale, dopo il periodo di ‘saturazione’ dalla Toscana, dal Salento, arriva in Sicilia.
“E la cioccolata diventa un mezzo per viaggiare conoscere, confrontarsi e soprattutto, fare conoscere il territorio anche se qualche volta perdeva di vista l’obiettivo”. Una volta, racconta sempre Pier Paolo, aveva sentito l’intervista di una donna ebrea che raccontava che durante la prigionia aveva il sogno di riuscire a mangiare del cioccolato e a diventarne produttrice.
“A quel punto papà riempie una statola di dolci e libri del territorio, trova il laboratorio di questa donna, gli posa il pacchetto sul tavolo, si presenta. Da lei non voleva nulla, solo starle accanto, un livello umano. Amava le foto di Scianna e trovo’ il modo non solo di conoscerlo ma di diventarne amico. Il Maestro Peppe Vessicchio ebbe modo di raccontare l’armonia che sentiva nel laboratorio della nostra dolceria”.
Lo chef Fabio Picchi racconta proprio l’essenza di Franco Ruta in un suo libro: “Descrive il suo primo incontro, papà si presentò a lui dicendogli che era siciliano e prima di andarsene via, posò una busta con libri e dolci. Tornò dopo tempo e stavolta fu Picchi a fermarlo. E anche in questo caso ne nacque un’amicizia. Riuscì a incontrare Enzo Biagi, ma anche Roberto Vecchioni, il presidente Ciampi. Faceva sempre così, partiva e scompariva, incontrava e raccontava”.
Il dolore degli ultimi anni, è quello di non potere usare la denominazione “cioccolato di Modica”, non riconoscendo quanto Franco Ruta ha fatto per il cioccolato di Modica e per la città, una battaglia legale poco comprensibile, a dire il vero. “Questa citta’ spesso tende a dimenticare, a cancellare”.
Ecco spiegata la commozione quando parla della intitolazione del vicolo a Franco Ruta, il suo papà, il vicolo dove l’Antica dolceria Bonajuto quasi 170 anni fa ha messo le sue radici, dove tornano le persone che Franco Ruta ha affascinato, sfiorato e conosciuto, un angolo privilegiato davanti al quale passa l’umanità che Pier Paolo continua ad osservare e ad accogliere, fedele al passato.
Quella caffetteria del nonno che nel dopoguerra beneficiava dello zucchero che veniva dato solo a chi aveva la macchina del caffè è un dono, come il profumo del cioccolato che Franco Ruta ha rincorso e ripreso.
“Ecco, non era nè cioccolatiere, nè imprenditore, era Franco, Franco Ruta”, un uomo che non vendeva cioccolata ma caricava un prodotto di citta’ ed emozioni.
Scritto da Giada Drocker per l’Agenzia Giornalistica Italia