Cosa è accaduto al sistema economico del Sud-Est? L’ultima spallata arriva dal Covid

Penalizzata la Provincia dove si produce il 75 per cento del latte vaccino della Sicilia, dove insiste il più grande mercato ortofrutticolo del sud Italia, dove è nato un polo avicolo tra i più importanti del paese, dove l’artigiano è pregiato, dove la lavorazione della pietra è dei marmi occupa un posto di grande rilievo nella regione.

Nella nostra comunità il dibattito sulla disoccupazione e sullo stato di salute dell’economia Ragusana è molto diffuso, pieno di interrogativi, evocativo dei tempi migliori e soprattutto animato da un preoccupante, quanto legittimo e reale, pessimismo.

Pessimismo aggravato dalle incertezze sul post pandemia, che ha generato nel tessuto socio economico un pericoloso livello di involuzione che rischia di minare quella voglia di lavorare, di scommettere sulle proprie capacità, di tentare nuovi percorsi, nuove esperienze, elementi fondanti di una classe imprenditoriale caratterizzata dall’intraprendenza, effervescenza che nell’arco di un ventennio del secolo scorso ha dato vita ad un sistema formidabile di piccole e medie imprese senza pari nella nostra isola. Il sud est, in analogia al più noto sistema del triveneto, ossia il nord est.

Certo la genesi, così come afferma il compianto prof. Saverio Terranova nel libro “dalla Bottega all’Impresa”, tra i due sistemi ha natura diversa. Le imprese del triveneto producono per le grandi industrie, producono componentistica, quelle del territorio ragusano hanno una propria autonomia produttiva, quasi sempre frutto dell’inventiva del singolo imprenditore, e ciò ne fa un orgoglio.

Questo sistema caratterizzato per lo più dalla microimpresa, ha garantito fino ai primi anni 2000 un livello occupazionale quasi in linea con quello nazionale, una sorta di isola nell’isola in tutti i sensi, considerato che la Provincia di Ragusa è stata sguarnita di infrastrutture e dotata di scadenti vie di comunicazione, dalla ferrovia alle autostrade. Un miracolo tutto ragusano.

Ma cosa è successo alla Provincia dove si produce il 75 per cento del latte vaccino della Sicilia, dove insiste il più grande mercato ortofrutticolo del sud Italia, dove è nato un polo avicolo tra i più importanti del paese, dove l’artigiano è pregiato, dove la lavorazione della pietra è dei marmi occupa un posto di grande rilievo nella regione.

Verosimilmente quello che è accaduto, da un certo punto ai nostri giorni, nel resto dell’Italia, che ci porta ad escludere che la causa che ha determinato il declino dell’economia del nostro paese è da addebitare alla pandemia. La pandemia sull’economia ha avuto lo stesso effetto che il virus ha prodotto nei confronti di tutti coloro che hanno contratto il virus in uno stato di salute precario e con pregresse patologie che ne hanno determinato, purtroppo, la sorte.

Nei primi anni 90, dopo la caduta del muro di Berlino, anche l’Italia si omologa al sistema neoliberista e globalista. Globalizzazione dell’economia reale e soprattutto dell’economia finanziaria. Tutto diviene funzionale a ciò. Dal sistema bancario allo smantellamento dell’industria pubblica, dalla costruzione dell’Unione Europea all’introduzione del pareggio di bilancio nella nostra Costituzione che, di fatto, subisce una snaturalizzazione, modificandone i principi economici di ispirazione keynesiana.

Si avvia uno scientifico processo di delocalizzazione delle produzioni nel continente asiatico, si aprono corridoi commerciali e di traffico di merci in nome della globalizzazione che hanno messo in serie difficoltà la nostra economia non in grado di sostenere la concorrenza impari con i paesi mediorientali. La nostra agricoltura, anche per via di norme europee cervellotiche, è uno dei settori che di più ha subito il colpo. C’è da dire che si aprono anche delle opportunità per diverse imprese, ma il piatto della bilancia pende in negativo. Qui siamo ancora nella sfera dell’economia reale.

Contestualmente, con forza fagocitante, si fa avanti l’economia finanziaria, il capitalismo finanziario, che nell’arco di pochi decenni detta le linee guida e prende il sopravvento anche sugli Stati.

I risultati sono noti a tutti. Nel 2008 accade qualcosa di cui ne stiamo pagando ancora le conseguenze. Lo tsunami provocato dal disastro finanziario d’oltre oceano che nel giro di pochi mesi ha prodotto effetti devastanti in tutto il mondo. Prevale l’esigenza di salvare, a discapito dell’economia reale, l’economia finanziaria, il sistema bancario che rischiava di crollare. L’economia fittizia, sostenuta dalla politica ultra espansionistica del credito (la famosa vita a rate), si inceppa, finisce la sua corsa e con essa arriva la contrazione dei consumi, la perdita di posti di lavoro, la perdita di redito, impossibilità di sostenere gli impegni assunti negli anni precedenti, immobili all’asta, suicidi di imprenditori fino ai gironi nostri.

Il credito, la disponibilità finanziaria sono un fattore quasi indispensabile per fare impresa e quando, in maniera repentina, le piccole imprese subirono il “credit crunch” con richiesta da parte degli istituti bancari di chiudere le posizioni aperte, probabilmente, iniziò il declino a cui non si è potuto sottrarre neanche la nostra dinamica Provincia di Ragusa. La pandemia ha dato l’ultima spintarella.

Il credito, la Banca Agricola Popolare di Ragusa, nel ventennio in cui prese forma il sistema Ragusa, ha avuto un ruolo fondamentale. Ma erano altri tempi, erano i tempi dello Stato, dell’economia produttiva, del ciclo DMD (denaro-merce-denaro), questo che stiamo vivendo è il tempo della finanza del ciclo DD (denaro-denaro) e ripetere il miracolo, in un clima di incertezze, di sfiducia, di completa rinuncia alle arti e mestieri che hanno rappresentato la forza delle 12 terre, è cosa assai più complessa.

Emanuele Cavallo

Banca Agricola Popolare, Nord Est

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