Quel fascino del Sud-Est: le scoperte dei giornalisti al seguito degli Alleati

(di Giuseppe Calabrese) – Non c’erano solo tattiche di guerra, combattimenti, scontri di artiglieria nei servizi degli inviati di guerra dei magazine americani “embedded” (al seguito) degli Alleati
che sbarcarono in Sicilia nel luglio del ’43.

All’operazione militare si accompagnava anche tanta cultura e, soprattutto, la scoperta delle bellezze naturali, artistiche ed architettoniche del barocco del Val di Noto e di quello che in tempi più moderni è
stato definito il “Sud-est”. Erano ancora molto di là da venire il riconoscimento dell’Unesco di “Bene dell’umanità” e la fiction de Il commissario Montalbano, che ha suggellato questo estremo lembo di Sicilia come territorio vocato per lo splendore dei suoi beni materiali ed immateriali.

Tant’è vero che Maynard Owen Williams, inviato del National Geographic, in una delle sue corrispondenze scrisse: <Una sera partimmo da Siracusa per vedere uno spettacolo all’aperto della Tosca a Noto, una città sorprendentemente attraente.

E’ situata – sottolineava Williams – in mezzo a vigneti, si ricorda per i suoi giardini, le abitazioni aristocratiche e le chiese barocche>. Ma alle “pause” di natura culturale si alternava il teatro di guerra.

<Da Noto – riferì inoltre il giornalista del National Geographic – una breve strada porta a Pachino, vicino Capo Passero. La ferrovia si inerpica verso Ragusa, obiettivo dei paracadutisti, dove le truppe americane e
britanniche si sono riunite>.


Ma tra una notizia e l’altra sugli sviluppi delle operazioni belliche ecco di nuovo che spuntavano riferimenti alla cultura classica, specie quella greca. Williams ricordava infatti come lo storico greco Tucidite fosse stato nei fatti il primo “corrispondente” di guerra attraverso il racconto della guerra del Peloponneso e delle dure battaglie combattute dagli Ateniesi per la conquista di Siracusa e della strenua e tenace difesa della roccaforte siciliana.

Un vero e proprio mix tra cultura e guerra che rendeva questi reportage ancora più avvincenti, nei quali lo sguardo a spettro largo sui luoghi dello Sbarco consentiva di conoscere meglio i territori liberati e di comprendere l’indole e le tradizioni delle popolazioni con le quali le truppe dell’”Operazione
Husky
” sarebbero venute ben presto a contatto.

Ma bellezze artistiche e cultura dovettero ben presto rimanere sullo sfondo delle corrispondenze dal fronte cedendo il passo all’intensificarsi dei combattimenti sulle coste siciliane.

Sulle colonne del Newsweek del 26 luglio ’43 si poteva infatti leggere: <Gli americani che si erano aperti la strada verso le spiagge di Licata-Gela-Scoglitti si imbatterono nei loro primi combattimenti perché il nemico si attendeva lo sbarco alleato all’estremità ovest della Sicilia e lì aveva concentrato le sue truppe>.

Anche se quando lo stesso Newsweek riferiva le prime operazioni belliche sul terreno non mancavano notizie perfino sull’audacia di alcuni giornalisti, disposti anche a paracadutarsi sul teatro di guerra (oggi sarebbe impensabile anche nella versione embedded , n.d.a.) pur di dare dimostrazione della loro cultura professionale.

Sempre sulla stessa edizione il magazine americano raccontava infatti che <le flotte hanno cooperato con i paracadutisti. John Thompson, corrispondente del Chicago Tribune, che è stato paracadutato insieme agli americani, ha riferito di come, al culmine della battaglia vicino Vittoria, il primo giorno dell’invasione, le forze americane furono aiutate dall’artiglieria navale, che bombardò le “casematte” ed altri forti punti di
resistenza. Il fuoco di quei cannoni fu diretto da due gruppi radio equipaggiati>.

Giuseppe Calabrese

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