Le stragi impunite di civili e militari commessi dai soldati Alleati ad Acate, Vittoria e Comiso

( di Giuseppe Calabrese) – Una fitta nebbia ha avvolto per oltre mezzo secolo gli eccidi commessi da unità delle truppe Alleate nei giorni immediatamente successivi allo Sbarco in Sicilia. La loro ammissione avrebbe significato incrinare l’immagine di “liberatori” degli Anglo-americani, 

Sulle stragi di civili e militari di cui si erano resi responsabili gli Alleati aveva scritto nel 1990 lo storico militare Carlo D’Este con un libro su “1943 Lo Sbarco in Sicilia”. Ma a rompere il “silenzio” mediatico su quegli eccidi contribuì una pagina monografica di storia pubblicata nell’edizione del 5 marzo 1995 da Gazzetta del Sud, realizzata da chi scrive e dal corrispondente di Acate Salvatore Cultraro, in cui fu ricostruito nei particolari l’eccidio di “Piano Stella” grazie alla precisa e puntuale testimonianza dell’unico sopravvissuto, meglio noto come la “strage dei coloni”.

La pagina monografica di storia di Gazzetta del Sud del 5 marzo 1995

Quel 12 luglio del 1943

Il 12 luglio 1943 due soldati americani furono colpiti da una raffica di mitra sparata da un’auto mentre erano fermi a bordo della loro jeep davanti alla casa colonica n. 24. I due militari Usa, dopo aver risposto al fuoco, riuscirono a fuggire. Trascorse però alcune ore, arrivò nella zona un grosso carro armato che aprì il fuoco all’impazzata sulla casa colonica, al cui interno vi erano circa 30 persone, compresi donne e bambini. Per evitare il massacro, il proprietario Nicolò Marcinò, il figlio Francesco e Filippo Noto uscirono con le mani alzate per fare capire che in casa c’erano solo civili. Ma fu tutto inutile. Fatti pochi passi, infatti, furono falciati dalle mitragliatrici dei militari Usa.

Non era però ancora finita, se il giorno dopo, il 13 luglio, raggiunsero il podere n. 26 di proprietà di Giuseppe Ciriacono, fiduciario del Fascio, con il preciso intento di catturare l’autore dell’agguato, individuato poi nel perito agronomo Fiore, un ex squadrista assegnato a Piano Stella come consulente e dirigente tecnico. I soldati Usa circondarono per ben due volte il capiente rifugio realizzato da Ciriacono vicino la sua abitazione, intorno alle 15 ed alle 18,30, ma la seconda si rivelò fatale. Fecero uscire dal rifugio quattro uomini e due ragazzi, li raggrupparono nell’aia e li fecero incamminare verso il confine con la provincia di Ragusa, distante poche centinaia di metri. (nel link che segue la testimonianza dell’unico sopravvissuto Giuseppe Ciriacono)

Fucilati a sangue freddo

Raggiunto il territorio di Acate, da alcuni giorni sotto il controllo alleato, fecero fermare i coloni vicino ad una casetta abbandonata e dopo aver fatto allontanare il piccolo Giuseppe Ciriacono, risparmiato per la sua giovanissima età, li fucilarono a sangue freddo. Sotto i colpi dei fucili mitragliatori caddero Giuseppe Ciriacono, padre del piccolo Giuseppe, due agricoltori di Caltagirone, Salvatore Sentina e Giuseppe Alba, ed i vittoriesi Giovanni Curciullo ed il figlio di 14 anni Sebastiano. <Dopo averci prelevati dal rifugio – raccontò nel 1995 Giuseppe Ciriacono, ex maresciallo dei Carabinieri in pensione – gli americani ci condussero a circa 400 metri dalla nostra casa in territorio di Biscari, nei pressi di una casetta abbandonata, quindi ci fecero sedere sotto un grande albero di gelso. Dopo qualche minuto sopraggiunsero altri militari, che circondarono la casetta tenendoci sotto il tiro dei fucili mitragliatori.

La casa rurale nelle cui vicinanze furono trucidati i cinque civili

La testimonianaza

<Curciullo, intuite le loro reali intenzioni, – proseguì Ciriacono nella sua testimonianza  –, rivolto a mio padre, gli disse: “Questi hanno intenzione di fucilarci”, E mio papà rispose: “Ho la stessa impressione”. Queste sono le ultima parole che ricordo. All’improvviso – concluse la sua ricostruzione l’ex sottufficiale dell’Arma – mi sentii sollevare per il colletto da un soldato americano il quale, stringendo nell’altra mano il fucile ed un grosso cocomero, gesticolando e parlando in inglese, mi fece capire che avrei dovuto allontanarmi. Fatti circa 20 metri, udii una raffica di mitra e voltatomi di scatto vidi mio padre e gli altri amici, compreso il giovane Sebastiano Curciullo, di appena otto mesi più grande di me, riversi a terra senza vita>.

Solo dal 2003 questi eccidi furono oggetto di ulteriori approfondimenti con i saggi di Rosario Mangiameli e Franco Nicastro “Arrivano…gli americani a Vittoria nell’estate 1943” per i tipi di C.D.B. di Ragusa, di Gianfranco Ciriacono, figlio dell’unico sopravvissuto, su “Le stragi dimenticate” del 2004 sempre per i tipi di C.D.B. ; e con il servizio su La Sicilia del 24 giugno 2004 di Mario Barresi su “La strage negli occhi di un bambino. Cinque civili uccisi dai soldato Usa in un borgo colonico del Ragusano. Il racconto dell’unico sopravvissuto”.

Ma ad allertare le autorità Usa contribuirono altre due stragi, stavolta di militari, compiute entrambi nei pressi del campo di aviazione di Santo Pietro, vicino Biscari, il 14 luglio 1943, riferite sempre nella pagina storica di Gazzetta del Sud del 5 marzo 1995 e su La Sicilia del 24 giugno 2004 con due servizi di Mario Barresi su “I massacri all’aeroporto di Biscari nel ’43. Senza uniforme e disarmati: 73 soldati furono sterminati con un mitragliatore e da G. Petra “Su quegli ordini di morte c’è una storia ancora da scrivere”; ed infine nel saggio del 2012 di Alfio Caruso dal titolo “Arrivano i nostri”.

Prigionieri allineati e mitragliati

Della prima, il 14 luglio 1943, si rese responsabile il sergente Horace Timmy West, che aveva  ricevuto l’ordine di scortare un gruppo di italiani nelle retrovie perché fossero interrogati dal Servizio Informazioni S-2 del Comando di Reggimento. Prima di partire, i prigionieri furono privati delle scarpe e delle camicie in modo da impedire qualsiasi tentativo di fuga e fatti marciare verso  Biscari. Dopo aver percorso un buon tratto di strada, West consegnò un gruppo di prigionieri all’ufficio del Reggimento investigativo S-2.

Ma lungo il tragitto, a cui si aggiunsero altri 37 prigionieri di cui due tedeschi, il sergente West ordinò al gruppo, dopo aver percorso circa un chilometro, di fermarsi e spostarsi verso la carreggiata, dove i prigionieri vennero allineati. Si fece dare un fucile mitragliatore e fece fuoco a sangue freddo uccidendoli tutti e finendoli con un colpo di grazia. Il giorno successivo, il 15 luglio, il cappellano militare, tenente colonnello reverendo William Edward King  mentre viaggiava sulla sua jeep lungo la provinciale Biscari-aeroporto di Santo Pietro, scoprì i corpi allineati e nell’ispezionare i cadaveri scoprì che alcuni presentavano anche  ferite alla testa provocate da spari di pistola da distanza ravvicinata.

Una vera e propria esecuzione. Il colonnello King informò subito dell’accaduto il tenente colonnello Willerm O. Perry, ispettore generale di Divisione, una sorta di procuratore militare, che a sua volta riferì al generale Omar Nelson Bradley, a capo del II Corpo d’Armata, che resosi conto della gravità dei fatti, ne parlò con il comandante della VII Armata Usa generale George Smith Patton, che lo invitò a derubricare la vicenda e di <riferire che gli uomini uccisi erano cecchini o che avevano tentato di fuggire o qualcos’altro, altrimenti la stampa farà il diavolo a quattro e anche i civili si infurieranno. D’altra parte, ormai sono morti e non c’é nulla da fare> (da “1943 Lo Sbarco in Sicilia” di Carlo D’Este).

L’ex campo di aviazione di Santo Pietro vicino Biscari (oggi Acate)

Un’altra strage, tra le vittime anche un diciassettenne

L’altra strage avvenne sempre il 14 luglio, quando gli uomini della 3 compagnia del 153° Battaglione mitraglieri, al comando del capitano Dante Gigli e del sottotenente Francesco Biani, avevano abbandonato, dopo una strenua resistenza, la “ridotta” (fortificazione di minore importanza nel gergo militare, n.d.a.) del campo di aviazione di Santo Pietro per raggiungere Caltagirone e fuggire sugli autocarri della Divisione “Goering”. Ma quando gli ultimi 30 italiani si misero in marcia la ridotta fu duramente attaccata da reparti Alleati fino alla resa. Su ordine del capitano John Travers Compton, italiani e tedeschi furono depredati di portafogli, collanine, orologi e, rimasti in mutande, vennero portati, camminando a piedi nudi su stoppie e rovi, fino ad un’area nei pressi di un sughereto.

In quel luogo ricevettero l’ordine di scavare una fossa e di mettersi in fila per due per essere quindi uccisi. Prima toccò ai quattro tedeschi ed infine ai 28 italiani, molti dei quali erano di Brescia e  Padova. Con essi fu ucciso anche un diciassettenne, Giacomo Lo Nigro, perché testimone scomodo in quanto abitava di fronte al luogo dell’eccidio. Furono solo due i superstiti che riuscirono a fuggire, Silvio Quaiotto e il vicentino Virginio De Roit. Di questo eccidio non si è avuta notizia per oltre sessant’anni, fino ai primi anni 2000, benché De Roit ne abbia subito informato il suo distretto militare subito dopo la guerra, assumendosi anche l’onere di informare le famiglie delle 28 vittime.

Il generale Patton non si era reso conto degli effetti deleteri che le sue disposizioni agli uomini del 45° Divisione impartite il 27 giugno 1943 a bordo del “Monrovia”  sul fatto che, nel caso in cui i militari tedeschi o italiani avessero alzato le mani in segno di resa non sempre avrebbe voluto dire che erano disposti a farlo, anzi quell’atteggiamento poteva nascondere vere e proprie imboscate, consigliando di <uccidere quei figli di puttana>  (da “1943 Lo Sbarco in Sicilia” di Carlo D’Este). Ma il generale Bradley decise invece di proseguire per la sua strada deferendo alla Corte Marziale i due militari ritenuti responsabili delle stragi, che rimasero nei fatti impunite per i successivi risvolti processuali e di esecuzione della sentenza, con l’accusa di “omicidio volontario premeditato per aver ucciso prigionieri deliberatamente e in piena coscienza con un comportamento disdicevole”

Il comandante della VII Armata Usa generale George Smith Patton (da www.alamy.com)

Il capitano Compton fu prosciolto per non aver commesso il fatto, mentre il sergente West fu condannato all’ergastolo, <ma senza aggiungere alcuna aggravante nei confronti dell’accusato – si legge in Issuu.com/articles – Biblioteca militare –, neppure la disonorevole degradazione e la conseguente espulsione dal Corpo e ciò nel rispetto dell’art. 104, paragrafo b del manuale della Corte Marziale. West avrebbe dovuto scontare la pena in Usa presso il penitenziario di Lewisburg in Pennsylvania. Ma la sentenza non venne mai eseguita. Washington era spaventata – è scritto inoltre su Issuu.com/articles – Biblioteca militare – dalle ripercussioni che quei massacri avrebbero potuto avere sugli italiani con cui era stato appena concluso l’armistizio e il rischio di ritorsioni sugli Alleati prigionieri in Germania. Per sei mesi, pertanto, West venne trattenuto agli arresti in una base del Nord Africa. Il 1° febbraio 1944 il capo delle pubbliche relazioni del Ministero della Guerra americano sollecitò al Comando alleato di Caserta un atto di clemenza. Nella lettera era scritto infatti: “Non possiamo permettere che questa storia venga pubblicizzata”. Il sergente dopo soli sei mesi, venne rilasciato e mandato al fronte. Morirà durante i combattimenti dello Sbarco in Normandia>.

Lucio Molinari è stato Procuratore militare di Napoli fino al 2018

La giustizia italiana si mise all’opera nel concreto quasi 20 anni fa, nell’agosto 2004, prima con un’inchiesta della Procura militare di Padova sulla “strage dei coloni” e poi , nel 2013, quando la Procura militare di Napoli aprì un’indagine sui crimini di guerra compiuti dagli Alleati in Sicilia nei giorni successivi allo Sbarco. Il titolare dell’indagine partenopea, il procuratore di Napoli Lucio Molinari , raccolse tra l’altro una denuncia presentata  da alcuni cittadini su un eccidio di civili di cui si sarebbero resi responsabili gli Alleati a Vittoria in contrada “Terra dei pupi”. Il fascicolo riguardava l’ipotesi di reato di omicidio compiuto ai danni di civili con efferatezza e per futili motivi, non soggetto a prescrizione. Una strage resa nota dallo storico Fabrizio Carloni con un saggio dal titolo emblematico: “Gela 1943: le verità nascoste sullo Sbarco americano in Sicilia” pubblicato nel 2011 per i tipi di Mursia.

Un’altra grave strage vicino Vittoria

Sempre Carloni consentì di ricostruire un’altro grave strage vicino Vittoria, dove, sempre la mattina del 10 luglio 1943, una squadra di paracadutisti americani fermò una Lancia Augusta con a bordo il podestà di Biscari, Giuseppe Mangano, il fratello Ernesto, capitano medico del Regio Esercito, il figlio Salvatore Valerio di 17 anni, la moglie, Carmela Albani, maestra elementare, e la loro domestica. Li fecero scendere dall’auto, allontanarono le donne e condussero gli uomini verso i campi per poi ucciderli. Il cadavere del podestà fu recuperato da un parente, Rosario Migliorisi. Fu rinvenuto anche il corpo del figlio, che aveva la gola tagliata da una baionetta. Sul luogo furono scoperti anche i corpi di 18 militari italiani. Non fu trovato, invece, il corpo del fratello del podestà.

Il corrispondente del quotidiano inglese Daily Mail Alexander Clifford (da Gettyimages.com)

Eccidio nell’aeroporto di Comiso

Mentre rimasero impuniti due eccidi, avvenuti il 12 luglio 1943 nell’aeroporto di Comiso ad  opera di nuclei di paracadutisti Usa dopo che il 157° Gruppo tattico della 45° Divisione aveva occupato la città. Furono raccontati dal corrispondente di guerra del quotidiano inglese Daily Mail Alexander Clifford, che ne fu testimone oculare, e ripresi in un’intervista di Federico Dal Cortivo a Giovanni Bartolone su Europeanphonix e nel contributo di Pietro Sidoni su “Liberatori senza gloria” in “Storia in rete” del settembre 2009.

Il reporter inglese riferì che ci fu una cruenta battaglia nei pressi della base aerea, precisando che 60 militari italiani, dopo la loro cattura, furono fatti scendere da un camion e massacrati con una mitragliatrice. Stessa sorte toccò dopo alcuni minuti ad un gruppo di soldati tedeschi. La strage fu fermata da un colonnello, allertato dallo stesso Clifford, ma solo tre prigionieri respiravano ancora. Il giornalista inglese denunciò l’episodio al generale Patton, che prese impegno di punire i colpevoli. Il processo però non vide mai la luce. Ma Clifford fino a quando fu in vita si rifiutò di testimoniare contro Patton, anche se confermò quanto aveva visto all’analista britannico Basil H. Lideel Hart, al quale tuttavia vietò la pubblicazione delle sue rivelazioni, neanche dopo la morte di Patton.

Giuseppe Calabrese

In copertina un frame di Tvsette (Rai) su Giuseppe Ciriacono unico sopravvissuto a Piano Stella

Alfio Caruso, Carlo D'Este, Filippo Noto, Franco Nicastro, gazzetta del sud, Giovanni Curciullo, Giuseppe Alba, Giuseppe Ciriacono, Nicolò Marcinò, Piano Stella, Rosario Mangiameli, Salvatore Sentina, Silvio Quaiotto, Virginio De Roit, William Edward King

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