Elezioni di secondo grado nelle ex Province. Si vota ad ottobre. Il flop della proposta Abbate

La giunta regionale ha approvato un disegno di legge contenente il via libera alle elezioni di secondo grado delle province in Sicilia.

Nessuno ne parla, solo un comunicato della Presidenza della Regione, dopo l’approvazione del disegno di legge della giunta che ha, per il momento, accantonato definitivamente l’elezione diretta nelle province siciliane.

Neanche il fautore testardo di questa riforma, il deputato della Democrazia Cristina, l’on. Ignazio Abbate, ha rilanciato la notizia. Ma si sa che le sconfitte, sul piano politico non vengono mai riprese. Meglio il silenzio. Incassare è la parola d’ordine.

E quindi il disegno di Abbate di tornare alle elezioni dirette nelle nove province, malgrado proclami e movimenti di truppe, è fallito.

Non si voterà a giugno, e tutti i preparativi sono naufragati. Candidati parcheggiati, per Ragusa si parlava di candidare il fido Linguanti, preceduto anche dall’arrivo del nuovo segretario, quel Giampiero Bella, passato da Modica a Ragusa. Ma anche le indiscrezioni sulle liste. Tutto rinviato.

Difatti, nel mese di ottobre i consiglieri comunali e i sindaci siciliani, ognuno secondo il peso determinato dalla popolazione del proprio comune, dovrebbero quindi eleggere i 9 consigli provinciali e 6 presidenti di provincia.

Per le aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina i presidenti rimangono invece i sindaci delle città capoluogo.

Il disegno di legge interviene dopo la bocciatura del ddl partorito dalla Prima Commissione presieduta dall’on.Ignazio Abbato, bocciato qualche mese addietro da parte dell’Assemblea Regionale Siciliana.

La nuova proposta del governo regionale è motivata dall’attuazione della sentenza n. 136 della Corte Costituzionale del 6 luglio 2023 secondo la quale è incompatibile con la Costituzione il continuo rinvio, da parte del legislatore siciliano, dell’elezione dei Consigli metropolitani e dei Presidenti dei liberi Consorzi comunali che in Sicilia sostituiscono le province e quindi risulta incostituzionale la continua nomina di Commissari in attesa di elezioni che continuano a rimandarsi.

Nel comunicato stampa della Giunta di governo si legge che il testo approvato introduce alcune modifiche alla disciplina delle ex Province, fino all’approvazione dell’attesa legge nazionale di riforma degli enti di area vasta per l’introduzione dell’elezione a suffragio universale diretto degli organi.

Con il via libera, infatti, alle elezioni di secondo grado, gli organi eletti rimarranno in carica fino alla fine del 2029, a prescindere dall’approvazione di qualsivoglia legge nazionale di riforma che introducesse l’elezione a suffragio universale diretto.

Una doppia beffa per il promotore dell’elezione diretta dei consigli provinciali

Infatti, si dice, che a breve, in Italia sarà cancellata la legge Del Rio, e quindi in tutta Italia si voterebbe con l’elezione diretta tranne la Sicilia.

Il Presidente della Regione e tutta la Giunta sono stati obbligati a fissare le elezioni di secondo livello, (ma si sapeva da tempo), per non essere responsabili della mancata applicazione di una sentenza della Corte Costituzionale che vietava da tempo i commissariamenti degli enti intermedi. Ora si studiano le soluzioni, ma i margini sono ridotti. Una potrebbe essere quella di ridurre in prima applicazione la durata del mandato delle province ad un anno in modo da evitare conseguenze di lunghissimo periodo.

Ma c’è dell’altro. Il ddl della giunta che fissa il voto di secondo livello ad ottobre, ignora, comunque, come ritengono alcuni costituzinalisti, un’altra sentenza della Corte, la 240 dell’11 novembre 2021 secondo la quale “risulta del tutto ingiustificato il diverso trattamento riservato agli elettori residenti nel territorio della Città metropolitana rispetto a quello delineato per gli elettori residenti nelle province e si invita il legislatore a porre rimedio. Qualsiasi cittadino residente nei comuni delle aree metropolitane diversi dalle città capoluogo potrebbe ricorrere contro la norma”.

TUTTE LE SOLUZIONI SONO BUONE, ANCHE BOCCIARE LA PROPOSTA DEL GOVERNO

Ovviamente c’è chi non si rassegna al ritorno al più presto dell’elezione diretta del Presidente e del Consiglio provinciale. Il rischio di aspettare cinque anni è una jattura che non era stata messa in conto, specialmente per tutti quei partiti che avevano cominciato le grandi manovre e per prima la Democrazia Cristiana di Totò Cuffaro, che poi, al di là della carenza giuridica del ddl Abbate bocciato sonoramente, è stato il motivo principale del voto dell’Ars che ha affondato la proposta.

Ebbene, si dice che Abbate e sostenitori stiano pensando ad una soluzione radicale. Bocciare in aula la nuova proposta del governo Schifani. Continuare con i commissari e aspettare la modifica della riforma Del Rio, in barba alla sentenza della Corte Costituzionale.

In questo caso, come scrivono autorevoli giuristi, infatti “il governo regionale non sarebbe responsabile della mancata applicazione della sentenza della Corte e i parlamentari regionali, come è noto, non sono responsabili per i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.

Limpido esempio della nostra classe politica, che rispetta le sentenze della Corte Costituzionale, utilizzando tutte le prerogative per piegare tutto al suo volere, pur di raggiungere gli obiettivi personali

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