La “campagna acquisti” di Interlandi nel mondo della cultura. Il “giornalista di razza” di Chiaramonte che incuriosi’ Sciascia

( di Giuseppe Calabrese) – La “meglio gioventù” della letteratura e della poesia del ‘900 ebbe rapporti di collaborazione a vario titolo con Il Tevere e Quadrivio, il quotidiano e il settimanale diretti da Telesio Interlandi, fino  al punto da esordirvi, in alcuni casi, a livello artistico.

I due giornali diretti dall’intellettuale di Chiaramonte Gulfi avviarono, sia pure in tempi diversi, sin dai primi anni ’20, nel caso de Il Tevere, e nei primi anni ‘30 con Quadrivio una vera e propria “campagna acquisti” nel mondo della cultura, anche per effetto del clima di collaborazione tra fascismo e letteratura voluto e promosso da Giuseppe Bottai, esponente di primo piano del regime e già futurista come Interlandi. Bottai era stato prima ministro delle Corporazioni e poi titolare del dicastero dell’Educazione Nazionale. Alla terza pagina de Il Tevere collaborarono pertanto numerosi intellettuali, scrittori e poeti non necessariamente fascisti, come pure espressioni dirette della cultura di regime.

https://www.raiplay.it/video/2014/10/Il-tempo-e-la-Storia-Bottai-fascista-eretico-del-16102014-7903f2ee-d361-4732-af50-2462b9c71414.html

Tra le firme di spicco del quotidiano romano ci furono Luigi Pirandello, Emilio Cecchi, Giuseppe Ungaretti, Vincenzo Cardarelli, Vitaliano Brancati, Antonio Baldini, Corrado Alvaro, Carlo Bernari, Ercole Patti, Ardengo Soffici, Julus Evola, Luigi Chiarini, Dino Terra, Antonello Trombadori, Umberto Barbaro, Alfredo Mezio, Elio Vittorini e il giovane giornalista critico d’architettura Giuseppe Pensabene. Un giovane Almirante collaborò al giornale e ne divenne alla fine degli anni ’30 capo redattore. Il “proto” (il direttore della tipografia, n.d.a.) de Il Tevere dal 1924 fino al 25 luglio 1943 (data dell’ultima uscita del quotidiano romano) fu un comunista, tale Galeotti, che risultava schedato come sovversivo dall’Ovra (Opera vigilanza repressione antifascismo, n.d.a.), la polizia politica. Una circostanza di cui lo stesso Interlandi, a quanto sembra, fosse a conoscenza.

Ma l’operazione di cooptazione degli scrittori, dei poeti e degli artisti in genere nell’alveo del regime ebbe un altro valido strumento: il periodico Quadrivio. Il primo numero, recante il sottotitolo “Grande settimanale letterario illustrato di Roma”, uscì a Roma il 6 agosto 1933 e cessò le pubblicazioni il 18 Luglio 1943. La rivista diretta da Interlandi aveva come vice Luigi Chiarini, critico e teorico del cinema e futuro direttore del Festival del cinema di Venezia, e Vitaliano Brancati, allora scrittore ancora agli esordi, che ne fu il capo redattore fino al 1934. Riguardo alle manifestazioni artistiche, notevole fu la rubrica di Roberto Melli. Sul periodico della Capitale scrissero il poeta e scrittore Vincenzo Cardarelli, il poeta Corrado Govoni, lo storico e scrittore Rodolfo De Mattei, lo scrittore e critico letterario Enrico Falqui ed il pittore, scrittore e poeta Luigi Bartolini. Vi pubblicarono i loro primi scritti autori quali gli scrittori Francesco Jovine, Carlo Bernari e Alberto Moravia. Il racconto “Solitudine estiva” di Moravia uscì nel secondo numero della rivista, il 20 agosto 1933.

La prima pagina del settimanale Quadrivio

La pur contenuta autonomia culturale di Quadrivio andò via via diminuendo quando, a seguito dell’approvazione delle leggi razziali e della conseguente campagna antisemita, Interlandi ne accentuò il contenuto conformista e propagandistico nei confronti del regime.

Uno spirito antisemita che finì per tracimare anche nel mondo della cultura, se un illustre critico letterario del calibro di Francesco Flora commentò che <la servitù di un letterato è sempre volontaria anche quando è passiva>.  Non a caso un noto musicologo, Francesco Santoliquido, definì, nell’ agosto 1938, l’intera musica moderna <un vero e proprio monopolio della razza ebraica>. Mentre poco più tardi, un critico letterario, Francesco Biondolillo, cercò invece  di dimostrare che il pericolo maggiore è nella narrativa. <Qui, da Italo Svevo, ebreo di tre cotte – sostenne infatti con non poca disinvoltura –, ad Alberto Moravia, ebreo di sei cotte, si va tessendo tutta una miserabile rete per pescare dal fondo limaccioso della società figure ripugnanti>.

Giovanni Papini e Benito Mussolini (da il Secolo d’Italia)

Moravia non era nuovo a simili attacchi. Già otto anni prima, nel 1931, essendo andato a visitare Giovanni Papini, era stato accolto con una battuta sconcertante: <Lei collabora alla rivista Solaria. I solariani sono o zoppi o ebrei o omosessuali. Lei è tutte e tre le cose>. Si trattava di una frase almeno in parte inesatta, rilevò Moravia. Ma quel tipo di accoglienza rientrava nello stile di Papini, autore, proprio nel 1931 di un romanzo intitolato “Gog” e ispirato al più schietto antisemitismo. Fra gli scrittori contemporanei di Papini o anche più anziani, lo spirito antiebraico non era, d’ altronde, ignoto molto prima delle leggi razziali. Per Alfredo Oriani, vissuto tra le fine dell’800 ed i primi anni del ‘900, <dopo Gesù gli ebrei non hanno più davvero creato: nella filosofia, nella scienza, nell’ arte, nella politica, possono tutto sapere, tutto adoperare: creare no>.

Ma nei tardi anni ‘30 quei lontani precedenti si amalgamavano in un’unica parola d’ ordine e gli intellettuali antisemiti diventarono una pletora. Fra i più zelanti fu Guido Piovene, autore, sul Corriere della Sera del 15 dicembre 1939, di una recensione entusiastica al saggio “Contra judaeos” di Interlandi. La virtù principale di quest’ opera consisteva, a suo parere, nell’ aver ridotto all’osso la questione ebraica. Secondo Piovene, comunque, salvarsi dagli influssi semitici non era difficile: <Si deve sentire d’istinto, e quasi per l’odore, quello che v’ è di giudaico nella cultura>. Ma nel libro “La coda di paglia”, uscito nel 1962, lo scrittore avrebbe poi abiurato queste posizioni, confessando di aver obbedito da schiavo, senza sentirsi mai partecipe delle direttive del regime e aggiungendo che, nel ricordo, il fascismo era diventato per lui la figura stessa della sua umiliazione, umana e soprattutto intellettuale.

Ma l’epilogo della vicenda umana, professionale e politica di Telesio Interlandi riservò ancora colpi di scena. Nell’ottobre del 1945 il giornalista (su cui pendeva una condanna a morte) venne arrestato per la seconda volta dai partigiani (nel settembre 1943 era stato liberato dai tedeschi dal carcere militare di Forte Boccea a Roma ) insieme al figlio Cesare. Per lui ebbe inizio un lungo calvario che non si concluse in tragedia grazie ad un provvidenziale incontro con un avvocato antifascista di Brescia, Enzo Paroli, uno dei migliori penalisti della città, che fra l’altro aveva patito il carcere del regime. L’avvocato Paroli, socialista militante, dopo un lungo colloquio in carcere con il giornalista, decise di assisterlo. Come prima mossa il legale chiese ed ottenne dal Tribunale bresciano la libertà provvisoria per Cesare, il figliodi Interlandi, perché innocente. Ma all’atto della notifica dell’ordine di scarcerazione i secondini non prestarono attenzione al fatto che l’atto riguardasse Cesare e non Telesio, rimettendo in libertà anche quest’ultimo. Un episodio sicuramente dai contorni poco chiari. Interlandi si rese subito conto che la “svista” sarebbe stata presto scoperta e sarebbero venuti a riprenderlo per tradurlo davanti al plotone d’esecuzione. Ma l’avvocato Paroli li mise al sicuro in uno scantinato del palazzo dove abitava. Padre e figlio vi rimarranno per otto lunghi mesi, durante i quali l’antifascista Paroli, per salvare la vita al suo cliente, un “nemico” di ieri, rischierà davvero grosso.

Sciascia e Interlandi (da Oltreimuri.blog) e un giornale di Brescia (da “Giocatori d’azzardo” di Virman Cusenza)

Una vicenda umana e politica che catturò anni dopo l’attenzione e la curiosità dello scrittore Leonardo Sciascia. La conoscenza postuma dell’insolito incontro e le successive vicissitudini tra il “razzista” e l’“l’antifascista” fecero maturare nello scrittore di Racalmuto il proposito di fare “un discorso su Interlandi” (annunciato in un’edizione del giugno 1983 del Corriere della Sera), ovvero raccontare la complessa avventura umana di un intellettuale dalle idee controverse. Una vicenda che turbò non poco Sciascia per la scelta incomprensibile del conterraneo Interlandi di mettere il suo timbro all’infame politica razziale del regime, considerato che proprio la Sicilia ha rappresentato sempre un crogiuolo di razze, dove sono approdate e si sono stabilite genti provenienti dalle parti più disparate del mondo e dove l’ospitalità era considerata sacra. Il figlio Cesare, una volta letto l’articolo, manifestò a Sciascia la sua gratitudine per non avere espresso sul padre alcun giudizio precostituito.  Ne nacque così un fitto scambio epistolare che precedette un incontro fra i due, nel dicembre del 1987, in un hotel del centro di Roma.

Ma la morte impedì allo scrittore di Racalmuto, che nel frattempo aveva raccolto altri elementi utili sulla vita del giornalista “sopra le righe”, di scrivere su  l’“affaire Interlandi”, che sarebbe dovuta essere una rielaborazione in parte storica e in parte fantastica della vicenda, consentendo di scoprire altri aspetti inediti e di recuperare una memoria che forse era stata sbrigativamente rimossa e messa da parte. Documenti che Sciascia affidò, passandone il testimone, a Vincenzo Vitale, magistrato e giornalista, che nel 1999 riuscì a mantenere la promessa ed a pubblicare un pamphlet su Interlandi, in concomitanza con il decennale della morte dell’amico.

Giuseppe Calabrese

Alfredo Mezio, Antonello Trombadori, Antonio Baldini, Ardengo Soffici, Carlo Bernari, Corrado Alvaro, Dino Terra, Elio Vittorini, Emilio Cecchi, Ercole Patti, Giuseppe Ungaretti, Julus Evola, Leonardo Sciascia, Luigi Chiarini, Luigi Pirandello, Ovra, Quadrivio, Telesio Interlandi, Umberto Barbaro, Vincenzo Cardarelli, Vitaliano Brancati

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