Economia e privatizzazioni. Il caso beckettiano dell’ Ilva, aspettando una soluzione dello Stato

(di Salvatore G. Blasco) – Ho scelto l’opera più importane di Samuel Beckett  perché è ricca di elementi simbolici . Ma anche perché Beckett con questo libro invita a riflettere sul senso dell’esistenza stessa.

   Quindi come i personaggi Beckettiani  si fanno coinvolgere dall’attesa e dal mistero di questo straordinario capolavoro senza tempo , così lo scrivente ha voluto accostare le vicende economiche e industriali di una grande azienda italiana che produce acciaio e che da tanti anni è avvolta “dall’attesa”, di quella attesa che  Martin Esslin  definì  “ teatro dell’assurdo”.

Dopo l’accostamento della grande letteratura con l’economia passiamo ad esaminare  il “ Quid” che qui ci occupa.

     Parliamo de’ Ilva di Taranto, cioè della più grande acciaieria d’Europa.  Purtroppo è doveroso dire , altro che acciaio: l’ILVA è l’emblema di uno Stato e di una politica  che sfiora il paradosso Beckettiano.

     Insomma si sta ingenerando una convinzione poco salutare per il sistema economico  nazionale e non solo. E’ cioè che lo Stato italiano  sia una soluzione  praticabile  per la gestione delle grandi partite economiche.

     Vero, ma dobbiamo dire che tutto  presenta  non pochi rischi.

     Il disimpegno dei soci indiani  dell’ex  Ilva  era chiaro da tempo.

 Ecco perchè nessuno dei governi che hanno preceduto quello della Meloni può tirarsi indietro da ogni responsabilità.

Cioè da quando cambiando  in  corsa le regole del gioco, fu tolto lo scudo legale  a Mittel ( governo Conte) sui reati  commessi da altri imprenditori prima  del loro ingresso  nella società che rilevavano.

Ora per superare la crisi in cui versa l’acciaieria  si parla anche di nazionalizzare l’azienda o di commissariamento.

     Ma per fare cosa?  Mi chiedo con quali obiettivi?

Ci dimentichiamo che per farlo servono piani industriali credibili  e manager competenti.

 Altresì ricordo – secondo le leggi della scienza economica – che un’ azienda prima di tutto deve essere sostenibile economicamente, per sopravvivere e capace, quindi, di distribuire ricchezza eventualmente prodotta sia per il capitale umano sia per la proprietà.

     Lo Stato  dovrebbe imparare  a fare funzionare se stesso e non occuparsi  di cose di cui capisce poco o niente.

     Tenuto conto  che lo Stato non ha questi strumenti occorre affidare e, di corsa, l’azienda a imprese private capaci di ridare un piano di crescita e di salvaguardia del capitale umano alla più grande acciaieria d’Europa.

Insomma lo Stato  non può  inventandosi dall’oggi al domani il mestiere di imprenditore di acciaio.

Lo Stato dovrà fare altro: deve amministrare il Paese e non fare il tuttologo.

Ricordo che l’Italia è un’eccellenza dell’elettrosiderurgia. E di acciaio le imprese italiane hanno un gran bisogno.

     Spero, a questo punto che si delinei al più presto il piano industriale  5.0 che , con la rimodulazione  del Pnrr, dovrebbe sostituire  il vecchio 4.0.

     E questo grazie  all’avvio di una massiccia transizione  tecnologica.

         Cioè da noi ogni governo pensa di avere ricette migliori . Mettendo così in discussione quanto  fatto da quelli precedenti.

     Attenzione quindi a non inviare messaggi sbagliati ai protagonisti delle attività economiche. Che, di fronte a cambiamenti continue delle norme  e delle politiche, non fanno altro che porsi diversi orizzonti di investimento.

     Chiudo questa disamina con un forte rammarico chiedendomi , come economista e come cittadino, come mai: I campioni italiani e non del settore, stanno a guardare. Forse aspettano che arrivi GODOT ?

                                 Salvatore G. Blasco

piano industriale, Samuel Beckett, Taranto, transizione tecnologica

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