La città di Vittoria e il terremoto del 1693, alcune ricerche di Paolo Monello

In questi giorni in tutto il Val di Noto si ricorda il disastroso terremoto del 1693, un evento catastrofico che colpì l’intera Sicilia del Sud-Est.

Questo terremoto fu una delle più grandi catastrofi che abbia interessato la Sicilia lungo i secoli della sua storia, una catastrofe che alle volte è stata poco raccontata e documentata in ogni sua parte.

Paolo Monello, assessore alla cultura del Comune di Vittoria, sottolinea come ancora “oggi si mette in evidenza solo l’assoluto splendore della ricostruzione barocca del Val di Noto” dimenticando altri particolari che permettono di capire tante altre vicissitudini.

Per fare questo, effettivamente bisognerebbe andare alle fonti, ai quei documenti storici che raccontano questo evento nefasto.

Paolo Monello, negli anni ’90, grazie ai diversi inediti provenienti dall’Archivio General di Simancas in Spagna è riuscito a realizzare due lavori importanti sulla Città di Vittoria inerenti proprio il terremoto del 1693.

Il primo lavoro “Vittoria ed il terremoto del 1693” è stato pubblicato 300 anni dopo il disastroso evento nel 1993, un secondo volume è stato pubblicato nel 1995 “Ira di Dio, paura e scienza in Sicilia dopo il terremoto del 1693”.

Le ricerche sul terremoto del 1693 di Monello

In un post Paolo Monello spiega: “il taglio che diedi fu quello di superare le leggende e le tradizioni e di ricostruire in base ai documenti inediti in mio possesso l’impatto avuto dall’evento sul governo vicereale (anche se già studiato da Giuseppe Tricoli in base ad una relazione del 1696) e i provvedimenti assunti dal viceré Uzeda, al fine di portare i primi aiuti possibili alle popolazioni colpite e soprattutto di combattere contro la “paura” di massa che si diffuse nel Val di Noto (ma non solo) per il temuto sprofondamento della Sicilia”.

Nel corso degli anni Monello, appassionato di storia, ha messo in evidenza in numerosi articoli pubblicati  che l’“osservato speciale” di quei giorni di lutto e mesi di gravissimi problemi, ben 1800 scosse furono registrate, fu il Mongibello, l’Etna, ritenuto dalla scienza dell’epoca la causa principale della catastrofe.

L’Etna non era solo oggetto di studio degli scienziati ma veniva monitorata da parte del viceré e del duca di Camastra perché si riteneva il motivo scatenante del disastro.

“L’osservazione del vulcano – spiega Paolo Monello – però consentì di constatare che le continue eruzioni cui dava sfogo erano la prova che la “materia sulfurea” al suo interno, esalando, non avrebbe provocato altri disastri: così la scienza fu usata per rassicurare e dominare la paura”.

Analizzando la corrispondenza di Uzeda con il re tramite il Consiglio di Stato ed il Consiglio d’Italia, viene data costantemente notizia sull’attività del vulcano.

Il conflitto politico-religioso sul terremoto

Il motivo è quello di di contrastare il terrore di massa dovuto all’”ira di Dio”, perché la “scienza” della Chiesa considerava il terremoto come un castigo di Dio per i peccati degli uomini”.

Inoltre, nel suo post l’assessore spiega come nell’addossare all’Etna la responsabilità dell’evento c’era anche un interesse politico ben preciso.

Bisognava allentare il dibattito sulle cause dell’”ira di Dio”, il quale rischiava di alimentare lo scontro tra potere civile e potere religioso in tempi in cui i rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Sicilia erano avvelenati dalle controversie sull’”Apostolica Legazia”.

Secondo questo documento la Chiesa in Sicilia era soggetta al Re e non al Papa, a seguito della presunta nomina di “legato pontificio” che il papa Urbano II avrebbe fatto al Conte Ruggero nel 1098.

“Pertanto, – commenta Monello – se da un lato la Chiesa non poté organizzare le consuete manifestazioni, che furono vietate per evitare assembramenti pericolosi, l’unica arma che restò fu il ricorso ai Santi Protettori; dall’altro cercò di scaricare sul governo spagnolo la responsabilità di aver mosso “l’ira di Dio” per non aver evitato il malcostume dello “stato ecclesiastico” siciliano”.

Inoltre “che Dio fosse adirato con la sua Chiesa era stato provato dallo svolgersi stesso dell’evento, perché le maggiori distruzioni ed il maggior numero di morti si erano avuti proprio nei luoghi religiosi” sottolinea ancora Monello.

Danni causati dal terremoto nel Sud-Est siciliano

I giorni antecedenti al drammatico disastro del 1693 furono caratterizzate da giornate calde rispetto alla stagione. Nella serata dell’8 gennaio 1693 vi furono leggere scosse, per poi ripresentarsi l’indomani in modo pesante incutendo terrore nella popolazione.

“La scossa – spiega Monello – causò gravissimi danni nel Siracusano, con centinaia e centinaia di morti ed un gravissimo allarme in tutta la Sicilia orientale. Per impetrare pietà e liberazione dal flagello, dopo un sabato senza che la popolazione avvertisse nuove scosse, la domenica 11 gennaio le chiese della Sicilia soprattutto nel Val di Noto si riempirono di fedeli, per il vespro. Fu proprio allora, intorno alle 14 pomeridiane attuali (a 21 ore della “cuenta de Italia”), che una violentissima scossa rase al suolo in 60 città e paesi decine di migliaia di case, centinaia di palazzi, decine di castelli, torri, ponti, 700 chiese, 250 tra conventi e monasteri, 22 collegiate, uccidendo migliaia e migliaia di persone”.

Una catastrofe immane: l’Etna entrò in eruzione, pioggia e grandine si rovesciarono sulle macerie, un forte maremoto sconvolse le coste da Catania a Siracusa e fino alle coste di Scicli. La Contea di Modica sprofondò in più punti.

Fu un rincorrersi di notizie sempre più tremende, che accrescevano il terrore dei sopravvissuti, in certi luoghi si accanirono anche bande di malviventi.

“Se si contarono in seguito circa 60.000 vittime, non sapremo mai quante persone morirono successivamente per gli stenti e le malattie” commenta Monello.

Il 14 maggio 1693 in una relazione si fecero le stime delle vittime. Nella Contea di Modica si ebbero: “a Scicli 2000 morti su 9382 abitanti; a Modica 3.400 su 18.203 abitanti; a Ragusa 5095 morti su 9946 abitanti; a Chiaramonte 303 morti su 4830 abitanti; a Monterosso 232 su 2340 abitanti. Fuori della Contea, a Spaccaforno 2200 morti su 7987; a Giarratana 541 morti su 2981 abitanti; a Comiso 269 morti su 5305 abitanti” sottolinea Paolo Monello.

Paolo Monello spiega che le scosse ebbero un punto massimo di intensità intorno a Ragusa, dove morì metà della popolazione.

Vittoria ebbe un esiguo numero di vittime, secondo alcuni scienziati perché l’energia sismica fu arrestata dalle valle dell’Ippari e questa evitò un disastro generale come era avvenuto nelle altre città.

Nel 1693 Vittoria contava 3950 abitanti, ma nella relazione del 14 maggio si legge che la città ebbe solo qualche danno alla Chiesa Madre, problemi strutturali a due conventi, il crollo di alcune case e 28 defunti in totale.

Paolo Monello, San Giovanni "ri innaru", terremoto 1693, vittoria

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