Quel “miracolo” di Maria Paternò Arezzo. Dal sisma di Messina all’Ospedaletto di Ibla

(di Giuseppe Calabrese) – Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che dalla furia devastatrice del terremoto-tsunami che colpì Messina e Reggio Calabria il 28 dicembre 1908, di cui proprio fra pochi giorni ricorre il 115° anniversario, sarebbe attecchito il seme della speranza con la realizzazione, anni dopo, di un ospedale dei poveri a Ragusa Inferiore (oggi Ibla, le due Raguse furono unificate solo nel 1926,  n.d.a.) intitolato a Maria Paternò Arezzo, di cui proprio il 28 gennaio di quest’anno è ricorso il centenario dall’inaugurazione.

Forse nemmeno Giovanni Pascoli, che visse nella città dello Stretto dal 1898 al 1902, dove insegnò Letteratura latina nella facoltà di Lettere dell’ateneo peloritano, e che descrisse con una prosa drammatica quanto efficace il suo stato d’animo rispetto allo scenario di morte e distruzione, che appariva come la fine di tutto e di ogni speranza, non tanto nella capacità di ricostruire la città quanto nella forza di immaginare una nuova esistenza.

Il poeta romagnolo commentò infatti: <Tra Scilla e Messina, in fondo al mare, sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell’aurora, sotto le porpore iridescenti dell’occaso, è appiattata, la morte; non quella per dir così – spiegava Pascoli –,  che coglie dalle piante umane ora il fiore, ora il frutto, lasciando i rami liberi di fiorire ancora e di fruttare; ma quella che secca le piante stesse; non quella che pota, ma quella che sradica; non quella che lascia dietro sé lacrime, ma quella cui segue l’oblio. Tale potenza nascosta d’onde si irradia la rovina e lo stritolio – concludeva il poeta –, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma del cielo, come l’eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia – concluse il poeta –, resta  la poesia>.

Il sisma non risparmiò la nobildonna Maria Paternò Arezzo, nativa di Catania ma di origini ragusane, molto legata al nonno materno Corrado Arezzo de Spuches, barone di Donnafugata, specie dopo che il padre Giuseppe Maria Alvaro Paternò, principe di Sperlinga e Manganelli, aveva lasciato la famiglia.

Maria Paternò Arezzo, principessa di Castellaci, si era trasferita nella città dello Stretto e sposata con un esponente della nobiltà messinese, Francesco Marullo Balsamo, principe di Condojanni, figlio del conte Salvatore Marullo e della principessa Anna Balsamo, dama di Palazzo della regina Margherita.

I corpi di Maria Paternò Arezzo e del marito Francesco Marullo Balsamo furono estratti dalle macerie di palazzo Marullo-Balsamo solo mesi dopo il sisma, per effetto dei ripetuti solleciti del presidente della “Congregazione di Carità” di Ragusa, Luigi Floridia.

Foto – La lapide che ricorda l’atto di filantropia e la nobildonna Maria Paternò Arezzo

Ma gli scavi sotto palazzo Marullo-Balsamo riservarono una sorpresa. Restituirono anche il testamento ed un codicillo olografo della principessa Maria Paternò Arezzo, che portavano la data dell’8 febbraio 1900. La nobildonna ragusana, in segno di riconoscenza per l’accoglienza che le aveva riservato la terra iblea, dispose, quando aveva appena 30 anni, che fosse costruito un ospedale a Ragusa Inferiore, come simbolo del suo attaccamento alla città, nominando il marito erede usufruttuario, che però perì insieme a lei nel terremoto. La coppia non aveva avuto figli, per cui fu necessario nominare erede universale un esponente di un ramo collaterale della famiglia, il barone Corrado Arezzo Giampiccolo, ancora appena nato, che fu sostituito dal padre che portava lo stesso nome nel deposito dal notaio Dionisio Lombardo di Messina del codicillo olografo pubblicato il 22 maggio 1909.

Nella disposizione testamentaria Maria Paternò Arezzo, rivolgendosi al marito, disponeva che <avendo io sempre desiderato di fare qualcosa in prò dei poveri sventurati diseredati dalla fortuna, voglio che avvenuta la mia morte cominci a fabbricare un ospedaletto di n. 30 infermi e, quando sarà finito, gli costituisca una rendita adeguata nominandone amministratori i due Parroci di San Giorgio e di San Tommaso ed un terzo a tua scelta. Voglio che detto ospedale – aggiungeva – porti il mio nome e che alla mia morte tu faccia sapere ch’io ti raccomandai d’iniziare subito quest’opera di beneficenza, e ciò non per vanagloria ma per non essere tacciata d’ingrata verso il mio paese. Nel fondare questo ospedaletto – proseguiva la principessa – pregoti imporre che sia affidato alle Suore della Carità pena di decadenza se qualcuno vuole opporsi a questa volontà. Per la rendita da costituire potrai assegnare un fondo e, oltre alle condizioni delle suore, metterai pure che se il Governo o la Congregazione di Carità volessero porvi mano, il sopradetto ospedaletto dovrà tornare al donante>.

Foto – Antica panoramica del “Maria Paternò Arezzo”  (Sara Dimartino per concessione dell’Archivio Tipografia Elledue – dal libro di Giancarlo Iaia La storia degli Ospedali di Ragusa dal San Giuliano al nuovo Ospedale Edizioni Elle Due Ragusa 2004

Trascorreranno ben 14 anni dal terremoto-tsunami di Messina prima che l’ospedaletto di Ragusa Inferiore possa vedere la luce, soprattutto a causa di controversie  di natura legale.

Il nosocomio intitolato a Maria Paternò Arezzo sarà collaudato solo il 20 ottobre 1922 ed inaugurato con una solenne cerimonia alle 14 de 28 gennaio 1923. Due anni prima, il 7 agosto 1921, re Vittorio Emanuele III aveva firmato il decreto di erezione dell’ente morale “Ospedale Maria Paternò Arezzo” e dello statuto che all’articolo 2 recitava: <Provvede al ricovero ed alla cura gratuita di trenta infermi poveri di ambo i sessi, aventi il domicilio di soccorso nel Comune, i quali non abbiano congiunti tenuti per legge a provvedere alla loro sorte ed in grado di poterlo fare>. Lo statuto conteneva inoltre una grande novità culturale per l’epoca, fortemente anticipatrice dei tempi e rispettosa della libertà di culto e del dialogo interreligioso. L’articolo 8 prevedeva infatti che <nessuna pratica di culto può essere imposta ai ricoverati. Essi possono farsi assistere dai ministri di culto ai quali appartengono>.

L’ospedale “Maria Paternò Arezzo” tra la fine degli anni ’50 e l’in

In segno di riconoscenza, nella seduta del 27 maggio 1909, il consiglio comunale di Ragusa Inferiore diede incarico a Corrado Leone di realizzare un ritratto di Maria Paternò Arezzo da collocare nell’aula consiliare.

Giuseppe Calabrese

barone Corrado Arezzo Giampiccolo, Corrado Arezzo de Spuches, Corrado Leone, Francesco Marullo Balsamo, Giuseppe Maria Alvaro Paternò, ritratto, Salvatore Marullo, Suore della Carità

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