“C’è ancora domani” il film della Cortellesi che fa riflettere sul cambiamento della condizione delle donne

Ho atteso volutamente la Giornata contro la violenza sulle donne per condividere con voi le mie riflessioni sul film della Cortellesi “C’è ancora domani”.

Un film su cui si è detto tanto, forse anche troppo. Ed è per questo che spinta dalla curiosità e dalle eccellenti recensioni ho deciso di vedere la pellicola in bianco e nero della bravissima attrice al suo esordio come regista.

Spero di riuscire, senza essere fraintesa, a trasmettere le sensazioni che sono scaturite dentro di me subito dopo la visione del film ma soprattutto nei giorni successivi motivo per il quale non ho scritto subito questo articolo. Perché se la prima reazione che ho avuto al termine del film è quella di dire “mamma mia quante cose sono cambiate da allora ad oggi nella condizione femminile” ad una riflessione più attenta la domanda che mi sono posta è stata un’altra: “è davvero cambiata così tanto la condizione di noi donne?”

Ovviamente, da quando abbiamo ottenuto il diritto di votare, che poi è il tema centrale attorno a cui si snoda il film, la nostra condizione sociale è cambiata.

Oggi, noi donne studiamo, lavoriamo, viaggiamo, facciamo politica e occupiamo anche posti di potere ma a che prezzo? Siamo davvero libere? Abbiamo davvero raggiunto la parità? La mia risposta è no, ma credo che molte di voi saranno della mia stessa opinione.

Oggi il problema non è che gli uomini ci dicono di “stare zitte”, non lo farebbero mai, perché come si dice “non è politicamente corretto” ma il reale problema è che, molti di loro, lo pensano ancora.

La questione è che l’unica cosa che doveva cambiare davvero per poterci ritenere libere e rispettate doveva essere la mentalità, quella mentalità maschilista che scorre ancora nel sangue dei nostri uomini, e che è un male difficile da estirpare.

Ciò che è cambiato è che si è diventati più bravi, ma nemmeno tanto, a nascondere certi atteggiamenti. Se così, non fosse, non saremo qui a piangere, giorno dopo giorno, centinaia di vittime di femminicidio.

Ed assistere a queste violenze, oggi, fa, paradossalmente, più rabbia di allora. Perché se è vero che siamo libere di scegliere chi amare, siamo, o almeno dovremmo, essere altrettanto libere di scegliere chi lasciare.

Invece, proprio come la protagonista del film, continuiamo a vivere sotto lo stesso tetto di chi ci maltratta, di chi picchia, di chi ci umilia.

E la cosa ancora peggiore che questo non avviene solo nelle famiglie come quella di Delia, socialmente e culturalmente arretrate, oggi le vittime sono anche donne che hanno studiato, che hanno un lavoro proprio, che potrebbero fare a meno dell’aiuto e del sostegno di un uomo e che soprattutto nessuno giudicherebbe se decidessero di lasciarlo.

Eppure, non è così e oggi più di allora, le donne muoiono vittime di uomini che sono ancora convinti di poter e dover decidere al posto loro, che non dicono ‘stai zitta’ ma solo perché poi usano la violenza per farle tacere. E tutto questo molto spesso sotto gli occhi delle figlie che crescono magari rendendosi conto che la madre sbaglia a non ribellarsi ma che alla fine cadono nella stessa trappola perché l’unico modo di amare che conoscono è quello che hanno visto fra le mura di casa.

In questo senso è molto significativo lo scambio di battute nel film fra la madre che dice alla figlia che lei può ancora cambiare le cose e la figlia che risponde alla madre anche tu puoi farlo.

Ed è proprio questo forse il momento più alto del film quando la madre prova a farlo ma non come ci aspettiamo tutte noi, che alla fine dimostriamo di non aver capito niente né del film né in generale della vita, convinte che la ribellione sarebbe stata fuggire con un altro uomo.

Non è l’amore che ci salverà e che ci renderà libere, non è per qualcun altro che dobbiamo fare le cose ma per noi stesse e quando lo capiremo forse sarà troppo tardi. Il cambiamento sta nel far rispettare i nostri diritti ed è qui il senso della frase finale “Stringete le schede come fossero biglietti d’amore” perché solo se impariamo a capire quali sono le priorità della nostra vita, se impariamo a far rispettare i nostri diritti con la stessa consapevolezza  con cui adempiamo ai nostri doveri, con la stessa forza con cui amiamo uomini che non lo meritano, solo allora potremmo dire di avercela fatta, solo allora i sacrifici di donne come Delia, come le nostre nonne, non saranno stati vani.

La strada però è ancora molto lunga da fare ed è necessario che a farla insieme a noi siano gli uomini.

Non possiamo più considerarla solo una guerra contro di loro ma dobbiamo necessariamente portarli dalla nostra parte, questa volta abbiamo bisogno di loro come alleati per uscire insieme da questo retaggio culturale di cui, senza rendersene conto, sono vittime anche loro. Perché il loro sentirsi inutili senza una donna accanto, il loro non sopportare un rifiuto o un abbandono è solo frutto di una cultura maschilista che li costringe a non ammettere di essere deboli, fragili, inadeguati, che li porta a dover affermare agli occhi della società la loro superiorità con la violenza.

Questa, non è ovviamente una giustificazione ma solo una spiegazione: la società è fatta di uomini e donne, ma l’obiettivo non è renderli uguali, l’obiettivo è dare ad entrambi le stesse occasioni nel rispetto della loro diversità che deve essere mantenuta perché rappresenta un valore aggiunto per entrambi e non un limite. Io non voglio essere come un uomo ma voglio avere le sue stesse opportunità, e se proprio la nostra deve essere intesa come una gara, desidero arrivare al traguardo partendo dalla stessa posizione facendo lo stesso percorso senza scorciatoie ma nemmeno compiendo una strada più lunga.

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