Don Umberto Bonincontro avrebbe meritato di più, ma troppo scomodo e poco gradito alla Curia

Un ricordo scritto dal giornalista Marco Sammito per il nostro giornale

Modica è in lutto. Non lo è solo formalmente. Ha la coscienza di esserlo intimamente perché piange una persona straordinaria. Umberto Bonincontro con la città e con chi ci vive ha scritto decenni irripetibili nella storia sociale della comunità e ognuno può dare una testimonianza, raccontare un episodio, rivivere un’esperienza.

“Prete di strada”, comunicatore raffinato, persona colta e sensibile perché solida e coerente era la cultura che lo sosteneva. Nelle sue trasmissioni televisive, radiofoniche, negli articoli dei giornali mai una sbavatura, un aggettivo fuori dal rigo. Esercitava il suo ministero con la certezza del dubbio, della verità rivelata, guardando al futuro convinto com’era che le cose potessero cambiare con l’uso della straordinaria forza della parola.

E’ stato un maestro di vita per tante generazioni in sessant’anni di sacerdozio, esercitato soprattutto fuori dal suo ambito di missione. Nelle case, nei quartieri, nelle piazze e nelle redazioni in compagnia di giovani intellettuali avidi di verità e di giustizia sociale. Basti pensare allo straordinaria esperienza di “Comunità” un periodico da lui fondato che con le sue denunce, puntuali e attente, fece tremare le fondamenta dei palazzi della politica e dei potenti dell’epoca segnando un picco di civiltà e di dibattito democratico nella Modica del tempo.

Cominciai a conoscerlo a Radio Emme Uno, nel 1976. Conduceva una rubrica dal titolo “Una religione per il nostro tempo”. La parola del Vangelo calata a piè pari nelle tragedie della vita: i poveri, gli ultimi, gli emarginati, gli immigrati, il difensore indefesso degli oppressi e degli umiliati.

Umberto Bonincontro non solo era autorevole, ma era riconosciuto come collega autorevole.

Lo volli con me nel 1989 prima a Video Mediterraneo per condurre una rubrica di Fede dal titolo “Una presenza per servire” e poi nel quindicinale “La Città”,  testate che all’epoca  dirigevo. Neanche in televisione ebbe bisogno di adeguamenti. La sua parola era rimasta la stessa, forte e chiara e priva di incertezze nel difendere chi era rimasto indietro, chi non ce l’aveva fatta, chi in difficoltà aveva la dignità di non chiedere: certo e rassicurato dalle proprie opinioni. Fu un successo con audience di tutto rispetto.

Mi sono sempre chiesto se Umberto fosse stato giustamente ripagato, in modo adeguato, da questo suo alto mandato vissuto tra la gente, per la comunità che lo ha sempre stimato e amato.

Quando gli rivolgevo questo mio dubbio, mi guardava e sorrideva. Era ovvio che non c’era alcuna possibilità di avere una risposta. E ciò si ripeteva ogni volta che veniva nominato un Vescovo nuovo.

Io credo di no. E valuto che anche in cuor suo avrebbe sperato di più. Ma un prete scomodo e mai accomodante, troppo vicino alle gente che soffre e sempre pronto, con le sue battaglie sociali combattute a viso aperto per mettere a nudo i potentati politici del suo tempo, non poteva trovare accoglienza e complicità nelle stanze delle curie che contano. E’ stato vittima responsabile di una sorta di “Conventio ad excludendum”.  Ma su questo mai un lamento, non abituato a chiedere nulla per sé, né una contestazione al reticolato ecclesiastico non sempre trasparente e coerente con la parola di DIO.

A ben vedere questa è stata la sua forza tranquilla, la sua energia prorompente, il suo regalo più grande. Ed è quella che adesso misura il dolore e l’abbandono per non averlo più tra di noi. Ognuno da oggi ha un compito da svolgere: il ricordo  diventi racconto per farne un tesoro da coltivare e tramandare.

Marco Sammito

La Città, Radio Emme Uno, Video Mediterraneo

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