“Maria Venera” o “Bughivù” o “Quell’estate felice”?

Come una domanda che non contempla una risposta, ieri sera si è consumato l’ennesimo abuso mascherato da omaggio perpetrato nei confronti dello scrittore Gesualdo Bufalino.

La pellicola in questione è Maria Venera di Beppe Cino presentata in prima nazionale ieri a Modica presso il Super Cinema Aurora e contemporaneamente in altre cinque sale disseminate nei quartieri della città.

 Il regista Beppe Cino non è nuovo alla disperata volontà di trasporre le opere più complesse dello scrittore comisano; nel 1990 aveva realizzato con pochi risultati Dicerie dell’untore, e questa volta ci riprova con Argo il cieco.

Argo dai cento occhi.

Lo stesso Cino ha affermato che il film Maria Venera è un “passaggio di testimone” rispetto al romanzo di Bufalino.

Con la facile scusante del “liberamente tratto” si è invece assistito alla completa disfatta della  scrittura felice a discapito di una pellicola gratuita, infelice, agli antipodi dall’atmosfera volutamente  sfocata dei ricordi.

 Il film di Beppe Cino non racconta, non ambienta, si fa volùta di fumo che non svapora subito ma si espande pesantemente per tutta la sala lasciando gli spettatori modicani inermi dinnanzi alla cartolina del già visto. L’intreccio procede con la stessa leggerezza con cui il regista ha esemplificato la trama, prestando un incomprensibile fianco ai cliché della Sicilia più beceri e triti.

La prodigiosa struttura narrativa fatta di flashback interni e ingranaggi di parole del romanzo Argo il cieco si  annacqua  in un visione omeopatica del tempo e della nostalgia prediligendo le storie di secondo piano e gli snodi meramente narrativi affinché  la vicenda procedi e il pubblico capisca.

Il cast è all’altezza del film, nel senso che riesce in pieno a sminuire la drammaturgia già sfilacciata di partenza. Non convincono né i protagonisti né i comprimari. Il povero Costa che nella trasposizione cinematografica incarna il protagonista Prof. Amato si lascia sballottare da un ambiente a un altro senza lasciare un segno sullo schermo, non aiutato dalla regia  né dal fisico imberbe e troppo infantile.

La bella Magnani-Maria Venera si limita soltanto a inondarci di sguardi ammiccanti relegata al ruolo di “oggetto del desiderio” neanche troppo consapevole.

Stupisce l’assoluto candore registico nel contemplare il banale espediente della sala cinematografica come stanza dei ricordi per permettere al protagonista invecchiato di riacciuffare i ricordi.

Il barocco della città di Modica è protagonista primario in questo carosello indeciso ma non basta. Non bastano i dorati riccioli di pietra di S. Giorgio o i fieri santoni della Chiesa di S. Pietro.

Argo dai cento occhi.

Gli occhi della memoria, gli occhi del ricordo, gli occhi della nostalgia, gli occhi dell’amore non corrisposto…

Per questa volta caro Argo chiudili tutti i tuoi occhi e dimentica.

 

Lillo Contino

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