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Ragusa, studio dell’Assod sui giovani: “Demotivati, ansiosi e spenti per colpa del Covid”

Si è tenuta questa mattina a Ragusa nella sede dell’Assod la conferenza stampa di presentazione della prima ricerca studio sui nuovi bullismi, sulle inedite criticità post Covid che stanno attanagliando le giovani generazioni in provincia di Ragusa.

Il lavoro è stato portato a termine dall’Associazione Serviziocivile e sostegno disabili ASSOD onlus, che era rappresentata dal suo Presidente Paolo Santoro e da Giuseppe Raffa, pedagogista, coordinatore dell’ambulatorio antibullismi della Asp di Ragusa.

I dati sono emersi in seguito alla somministrazione di un questionario da parte del dott. Raffa nei mesi scorsi, agli studenti iblei in età compresa tra gli 11 e i 14 anni, una delle fasce maggiormente interessate dai disturbi arrecati dalla pandemia. In sintesi è emerso che i giovani, a cui fa riferimento la ricerca sono demotivati, ansiosi, spenti: colpa del Covid, che ha cambiato le vite di molte persone, e che soprattutto ha toccato assai duro i giovani, in particolare le ultime due generazioni, la “Alpha” e la “Z”, provocando diverse, nuove criticità ed inedita aggressività. 

L’intento della ricerca è stato uno soltanto, quello di intercettare dagli stessi ragazzi i segnali, le richieste di aiuto, i problemi per catalogarli, studiarli, e successivamente chiedere gli interventi agli enti preposti.

Di seguito vi proponiamo,per intero, la relazione emersa da questo studio

Giovani soli, ansiosi, perennemente annoiati, più fragili di prima, che si chiudono in casa e/o nelle tecnologie. Cuccioli d’uomo che dormono poco, che manifestano gravi disturbi nella concentrazione, insicuri, che non sanno fare a meno del telefonino, che considerano meglio di un amico fidato/a. Giovani d’oggi, giovani iblei.

Quelli che passano il tempo collegati, a giocare coi videogame, il loro hobby preferito. Hikikomori in salsa ragusana. Colpa del Covid.

E anche dell’assenza e/o latitanza dei genitori, degli adulti di riferimento, delle istituzioni: è il fenomeno dell’abbandono educativo, che era già forte prima del Covid e che dopo la pandemia è letteralmente esploso.

Vittime di pensieri negativi, i ragazzi, succubi di una forma di inazione tanto simile a quella che assale Dino, il protagonista del celebre romanzo di Alberto Moravia, “La Noia”, era il 1966. Una noia del tutto nuova, però, che li frena, li blocca, li rende perennemente insoddisfatti, tristi, con zero voglia di fare.

E’ come se il Covid avesse riempito le teste dei nostri ragazzi di quelle “formiche mentali” di cui scriveva Dino Buzzati, “quei pensieri negativi che si istallano nelle circonvoluzioni cerebrali per sottomettere chi ne diventa preda”.

Accade in Italia, succede anche in provincia di Ragusa, almeno stando ai risultati del questionario che è stato somministrato a circa 1000 studenti iblei in età compresa tra gli 11 e i 14 anni, in collaborazione con l’Assod e con il prezioso supporto dei giovani del Servizio civile universale.

Giovani spenti, dunque, e sempre più chiusi in casa, dove non si staccano dai genitori, con i quali il rapporto è diventato più stretto, simbiotico assai, dopo la pandemia. Ragazze e ragazzi impaludati in quello che il sociologo Carlo Bordoni chiama “presentismo”, una illusoria confort zone dove il passato non esiste e il futuro è stato cancellato da noi adulti.

Si tratta della cosiddetta “fragilizzazione emotiva” delle ultime generazioni. Questi, nello specifico, i risultati dell’azione. I giovani iblei vedono assai vicini a loro i genitori (92,5%), a dimostrazione di un rapporto quasi di dipendenza figlio del lock down e di certe, nuove ansie delle famiglie italiane. Come i coetanei di tutta Italia i nostri ragazzi non stanno benissimo: il 39% del campione dorme poco; il 30,2% manifesta disturbi della concentrazione.

Il Covid e la guerra?

Li hanno resi più apatici, annoiati (29,4%) e isolati da tutto il resto (30,7%). E anche più aggressivi rispetto a prima, 12,3%. In famiglia stanno benone, lo rivela il 60,5% dei nostri giovani, a certificare che la casa e le loro stanzette sono diventate delle confort zone dalle quali difficilmente sogliono separarsi. Attenzione alle tecnologie.

Per il 18,4% il telefonino è il miglior amico, per il 67,2% è un oggetto imprescindibile. E i videogiochi? Il 23,0% del campione interpellato li vede come il passatempo preferito. Per il 71,5%% trattasi invece di hobby come tanti. A scuola e in classe stanno bene (80,8%). E i compagni? Il rapporto con loro è normale per il 48,2%.

Le relazioni con i docenti sono buone, 68,6%. Una luce nel buio che avvolge i giovani. Cosa fare per aiutarli a superare il grave momento di crisi? E’ tempo che la questione dei giovani diventi una questione nazionale prima, regionale e locale poi. Urge un progetto giovani che coinvolga anche le famiglie.

Un intervento radicale, di rete, avviato dalle istituzioni, dalle parrocchie, dalle agenzie educative, dagli scout. Un’azione imponente che metta in campo pedagogisti, neuropsichiatri infantili, psicologi, professionisti della educazione. Da dove iniziare?

Quattro i temi chiave: speranza, capacità di sognare, progettazione del futuro, passione. I quattro passi della ripartenza dei giovani. La speranza, è il primo passo. Liberarla significa, come nel mito greco del vaso di Pandora, mitigare l’influsso “maligno” della rabbia, dell’apatia, della noia, dell’autolesionismo, della violenza. La speranza si nutre dei sogni e della capacità, che i giovani hanno perso, di fantasticare e immaginare quello che sarà.

Speranza e sogni sono i primi due passi verso la rinascita dei ragazzi. Quindi il terzo, ossia la capacità di progettare il futuro. I giovani di oggi non sanno progettare perchè non hanno futuro: glielo abbiamo rubato noi adulti. La passione, infine, ovvero “il fuoco che ti arde dentro”, secondo lo psichiatra Paolo Crepet.

Perché la passione aiuta, è quasi salvifica: lo è per gli adulti, lo è ancora di più i ragazzi. Infine, l’”Ikigai”, che in Giappone significa far coincidere ciò che si sa fare con ciò che si ama fare per condividerlo con gli altri guadagnandosi da vivere. Sono ipertecnologici? Non si staccano mai dai loro device?

Bene, partiamo da qui. “Alleniamoli” sin da piccoli a sfruttare il digitale con responsabilità e consapevolezza, in modo che il terreno  insidioso e pericoloso del digitale possa trasformarsi in un terreno dove passione e lavoro possano duettare e coincidere. Un nuovo e non più rinviabile intervento a favore dei giovani non può prescindere dal sostegno alle famiglie, che vanno aiutate nella educazione dei giovani d’oggi, i nativi digitali, la nuova specie umana. Dunque non solo interventi per i ragazzi, servono anche e soprattutto azioni a supporto della genitorialità.

Published by
Mariacarmela Torchi