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Modica, uno degli ultimi “lantinnari” ci ha lasciato: con Mimmo Prossimo scompare l’arte dello stagnino

Per ricordarlo vi proponiamo un pregevole articolo di Piero Vernuccio, compianto Direttore del mensile Dialogo

La notizia si è diffusa nel pomeriggio. Don Mimmo Prossimo, per tutti i modicani “u lantinnaru ro strittu” non c’è più.
Una figura importante, valido rappresentante di una categoria oramai quasi estinta, un artigiano serio e competente, conosciuto ed apprezzato da tutti.

Nella sua minuscola bottega realizzava in serie o su commessa di tutto. Ha resistiito parecchi decenni, sempre chino sul suo lavoro, attento a realizzare strumenti ed utensili utili per le famiglie, per i contadini, per imprese. Poi l’avvento della plastica, e le nuove tecnologie hanno ridimensionato la domanda, il mercato si è ridotto e Don Mimmo ha cominciato a mollare, pensiamo con un po’ di nostalgia, tant’è che la sua presenza in bottega si andava diradando.

E’ stato un valido testimone di quell’artigianato autentico, ma destinato a scomparire, soppiantato dal progresso. Noi per ricordarlo, abbiamo scelto di pubblicare il testo di un articolo del collega Piero Vernuccio apparso sul Dialogo nell’aprile del 2014, proprio dedicato alla figura umana e all’artigiano Mimmo Prossimo.
E di questo ringraziamo, il figlio Nele per la gentile concessione.

UNA BOTTEGA D’ALTRI TEMPI

    Una simile bottega artigianale te l’aspetti ubicata in qualche angolo di quartiere. Com’era nella Modica di alcuni decenni fa, allorquando di stagnino (1) ve n’era uno per ogni rione. Operante all’interno di un ‘dammuso’ che quasi sempre era una semi-grotta e in genere attorno all’area di una chiesa ove quell’artigiano era di casa per via dell’immancabile ‘ratapunto’ (2) di stagno che praticava nella chiusura delle bare.


    Invece questa bottega te la trovi ubicata su un importante asse viario del centro storico. Ti sembra d’altri tempi; eppure te la vedi davanti ogni giorno, perché è sempre aperta, perché ti parla di sé con quei manufatti esposti sui battenti della porta, perché è viva con qualcuno che vi gironzola dentro, perché vocia di continue martellate.


    Stiamo parlando del civico 3 all’inizio della via Tirella; a pochi metri dalla ben nota piazza Corrado Rizzone. E’ la bottega di Guglielmo Prossimo (per gli amici Mimmo). Vista dal di fuori sembra grande quanto di norma, ma se v’accedi percepisci che hai appena lo spazio per respirare. Un vano di solo sette metri quadrati, senza pareti perché tutte attorniate da scaffali pieni d’ogni genere, con un breve soffitto annerito da cui pende un neon altrettanto annerito; con un buco al centro del pavimento da ove – metti e leva – s’erge rigido un robusto palo di ferro per battervi la lamiera; senza allaccio idrico né servizi igienici.


  All’esterno, quei due battenti vestiti di manufatti fanno parte della vista quotidiana dei residenti, i cui occhi ormai non vi si soffermano se non in caso di bisogno. Ma per i forestieri – o turisti che dir si voglia – è diverso; ne sono subito attratti e addirittura abbagliati quando nelle giornate di sole quelle forme di lamiera diventano luccicanti. Quindi si avvicinano, guardano con attenzione ogni oggetto esposto e ne chiedono a don Mimmo la funzione: in particolare sono la ‘cazza’ e la ‘caffittera’ (3) a destare la maggior curiosità. E alcuni non si contentano, procedono a scattare foto e invitano don Mimmo – che si presta ben volentieri col suo severo sorriso – a immortalarsi con loro in quelle immagini.


  Fanno parte dell’esposizione anche altri oggetti prodotti in dimensioni varie e tuttora in uso nell’ambito casalingo e della produzione agricola: secchi, quartare, imbuti, innaffiatoi, palette, brocche, forme per cioccolato; e anche scaldini e colalatte. Dei manufatti del passato sono ormai fuori produzione i recipinti per olio, i  misurini per liquidi, i calderoni per ricotta, le vasche da bagno, le lanterne, le grondaie, le pentole di rame e la loro stagnatura.

” a cazza”


    La materia prima utilizzata è la lamiera zincata; la banda stagnata, diffusamente in uso nel passato, è oggi fuori produzione. Le giunture vengono effettuate con bacchette di stagno, fuso tramite un saldatore a gas.

” a caffittera”


  Don Mimmo si sente un vincitore; o meglio, non si sente uno sconfitto. La grande industria, che – unitamente al sopravvento della plastica – ha espulso dal mercato la sua nobile arte, sconfiggendola sui prezzi e a volte anche sul piano della qualità, non è però riuscita a fargli chiudere bottega. Egli è orgoglioso di resistere ancora. Unico in tutta Modica, con altri tre o quattro colleghi in tutta l’area iblea.


  Sopravvive grazie alla sua perizia nel produrre a regola d’arte oggetti ancora vivi nella cultura e nella tradizione locale, ma soprattutto nell’esser riuscito ad inserirsi in una delle disfunzioni del sistema industriale, che sa produrre ex novo ma non sa riparare. Una pentola, un coperchio, una padella a cui ad esempio si staccano i manici diventa inutilizzabile. Ebbene, don Mimmo la ripara a regola d’arte e la fa ritornare perfettamente funzionale. Sono parecchie le casalinghe che si rivolgono a lui e al ritiro dell’utensile aggiustato gli augurano di vivere altri cento anni. E questa è la sua ‘vendetta’. Quella di un ‘moscerino’ che a sua volta fa concorrenza alla grande industria, limitandola nelle vendite sul mercato.


  Don Mimmo, che di anni oggi ne ha settanta, sin da quando ne aveva sei cominciò a sentire l’acre odore di stagno, da apprendista; nella bottega del padre Vincenzo, sita all’inizio della salita di via Nazionale al civico 7. E’ nel 1957 che si trasferì nell’attuale bottega di via Tirella, prendendola in affitto. Dal 1965 al 2005 ha esteso l’attività operando anche nell’ambito delle agenzie di pompe funebri.


Al presente cura solo l’attività della bottega e per l’età che gode in ottima salute gli è più che sufficiente la mole di lavoro che svolge. Con saggezza, la domenica chiude tutto e si dedica agli impegni familiari.


  Quale sarà il suo futuro? E’ di già segnato. “La bottega resterà aperta sino a quando me la sento con la salute; poi, chi dovrebbe tenerla aperta? Non sono riuscito a trovare mai un apprendista”.


  Il mini locale, da ristrutturare dalla A alla Z, potrà essere destinato a vetrina espositiva di qualche grossa ditta oppure – soluzione migliore – essere accorpato all’attiguo locale commerciale. Scompariranno così decenni di presenza dignitosa a cui un po’ tutti siamo affezionati e perderemo la funzionalità di un artigiano riparatore.


  Le pubbliche istituzioni, nei loro ruoli, riusciranno a parare in qualche modo codesto processo di paventata scomparsa? A tutt’oggi si sono limitate a premiare nel 2011 don Mimmo Prossimo con una statuetta di bronzo, quale premio per il mantenimento dell’attività tra i mestieri scomparsi.

    Piero Vernuccio

(1) La dizione dialettale del passato era ‘stagnataru’ ed anche ‘lantirnaru’, costruttore di lanterne. Quando l’energia elettrica era da venire, l’uso di lanterne era molto diffuso. Di varie misure, consistevano in un cubo con lo scheletro di latta ed ai lati quattro vetri incassati; tre pareti fisse ed una apribile per inserire la candela all’interno di un cilindro che fuoriusciva dalla base. La lanterna poteva essere fornita di un manico che permetteva di portarla e posarla ovunque; oppure di un fil di ferro ad uncino (‘cruòccu’) che permetteva di appenderla.
La dizione ‘lantirnaru’ (ché di lanterne non ne vengono prodotte da almeno sette decenni) e anche  quella di ‘stagnataru’ sono oggi del tutto scomparse nel linguaggio corrente, sostituite da stagnino o lattoniere.
(2)  Per similitudine con il punto eseguito con la macchina per cucire.
(3) La ‘cazza’ è una schiumarola bislunga utilizzata per mettere la ricotta all’interno della ‘cavagna’ (recipiente prodotto artigianalmente con canne, oggi quasi del tutto scomparso nella prassi commerciale) o in vaschette di plastica.
La ‘caffittera’, fissata nella punta di una canna lunga, è utilizzata per la raccolta dei frutti spinosi del fico d’India. E’ dotata di due cilindri di diversa misura, adattabili alla grossezza del frutto da raccogliere.

Foto di copertina ed altro materiale iconografico fornito gentilmente dalla Redazione di Dialogo

Published by
Mariacarmela Torchi