Dissesto, la “cultura come risorsa”, strumento e metodo
Premessa. Abbiamo scritto:
• Se la responsabilità del dissesto è da attribuire alla mediocrità della società civile e della sua classe culturale, allora il primo terreno del risanamento non può che essere culturale;
• Se al degrado della politica si accompagna sempre un analogo scadimento della società civile, allora è su questo rapporto – e sul suo riequilibrio – che occorre intervenire;
• Se il degrado è generale, diffuso in ogni ambito, diventa necessario un intervento di contesto, capace di ricondurre la vita pubblica nel suo alveo naturale, come un fiume deviato che torna, per forza di natura, al suo corso originario.
Assumiamo queste tre premesse come postulati di partenza, in linea con l’assunto principale di questo studio: la dichiarazione di dissesto finanziario mette a nudo un più complesso dissesto politico e culturale.
È banale dirlo, ma necessario: il dissesto non deriva da errori nella scelta delle opere da realizzare – la strada, l’ospedale, il centro anziani e così via – bensì da un deficit di cultura che precede tali scelte. Manca, cioè, un insieme di criteri, di comportamenti e di procedure fondati sulla trasparenza, sull’efficienza e sulla programmazione.
Fare riferimento alla cultura, intesa come insieme di criteri e modi di essere e dunque come metodo, ci impone di chiarire cosa intendiamo in questo studio con il termine cultura.
Cultura come metodo e forma mentis. Qualcuno potrebbe notare che questa analisi richiama, per certi aspetti, il dibattito che Charles Snow suscitò nel 1950 con il suo celebre saggio Le due culture [Snow Charles Percy, Feltrinelli Editrice, Milano 1964].
È vero: lo ricordiamo solo per collocare il nostro discorso nella distinzione tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica. Tale distinzione, a livello pratico, ci aiuta a comprendere che la qualità dei progetti tecnici e dei provvedimenti adottati dalla classe politica modicana, rispetto al dissesto finanziario di Modica, è un elemento marginale. Anche quando tale qualità risulta mediocre, la causa non è soltanto l’insufficienza tecnica, ma l’assenza di quella cultura come metodo che li ha concepiti, controllati e realizzati.
Non intendiamo la cultura come mero deposito di conoscenze, come museo della memoria o repertorio di citazioni, né come esercizio di erudizione autoreferenziale. Tutto ciò appartiene al mondo dei beni culturali da valorizzare come risorsa turistica o come espressione identitaria.
Qui parliamo invece della cultura come metodo di pensiero e di azione, come disciplina del discernimento e strumento di rigenerazione civile.
Sostenere un approccio culturale significa esercitare il pensiero critico, interrogare i fenomeni, riconoscere dietro l’apparenza delle cose le strutture profonde che le determinano.
Elaborare cultura vuol dire assumere la complessità come principio, accettando che ogni risposta generi nuove domande e che ogni certezza sia sottoposta alla prova del dubbio. In termini pratici, ciò equivale ad applicare i criteri della ricerca scientifica: osservazione rigorosa dei fenomeni, verifica delle ipotesi, trasparenza dei processi e possibilità di replicare i risultati.
L’elaborazione culturale non si fonda sull’opinione o sull’intuizione isolata, ma su un procedimento sistematico, aperto al confronto e alla revisione.
Cultura come risorsa attiva. La cultura, in questa prospettiva, non è un fine ma un mezzo: un dispositivo del pensiero, la capacità di porre domande, di riconoscere la complessità dei problemi e di scegliere secondo ragione, non per consuetudine. È il contrario dell’abitudine, della ripetizione e della pigrizia intellettuale.
Essa fornisce gli strumenti con cui un individuo, un’istituzione o una comunità affrontano la realtà senza subirla, la comprendono prima di agire, la ordinano prima di amministrarla.
Quando affermiamo che il risanamento deve essere “culturale”, intendiamo proprio questo: che esso deve poggiare su una forma mentis nuova, su un modo diverso di pensare e di decidere.
Non serve una cultura come accumulo di nozioni, ma una cultura come disciplina del discernimento: la capacità di riconoscere le priorità, di separare l’essenziale dall’accessorio, di leggere i dati e i comportamenti come espressione di un ordine più ampio.
In questa visione, la cultura diventa una risorsa civile prima ancora che intellettuale: non un lusso per pochi, ma un bene comune che genera metodo, chiarezza e responsabilità. È ciò che consente di tradurre i valori in regole, le intenzioni in procedure e i principi in comportamenti concreti.
È in questo concetto di cultura che risiedono il significato, i valori e le finalità dell’agire umano: quella dimensione che non si limita a chiedersi se qualcosa funziona – aspetto tecnico – ma si interroga su ciò che è “onesto, giusto, morale, efficace e corretto” – aspetto culturale e politico.
La distinzione tra preparazione tecnica e cultura come metodo di valutazione e scelta definisce anche la differenza tra progetto tecnico e scelta politica, tra governo della politica e “governo tecnico-amministrativo”, di cui parleremo più avanti.
Dai principi all’azione. Dalla definizione di cultura come metodo discende la necessità di tradurre i principi in pratiche amministrative coerenti.
Il compito ora è trasformare queste linee di principio in linee di azione operative. Per farlo, intendiamo sintetizzare alcuni concetti, procedure e metodi fondamentali:
- Il sistema cultura, inteso come rete di saperi, competenze e istituzioni capaci di generare metodo e visione;
- I criteri di un virtuoso processo decisionale, che diano forma a un agire amministrativo fondato sulla misura, sulla trasparenza e sulla coerenza;
- I modi per attivare un flusso costante e programmato tra politica e cultura, affinché ciascun ambito possa esercitare il proprio ruolo in una dinamica di reciproco arricchimento e controllo.
Carmelo Modica
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