Giorno della Memoria, intervista alla prof.ssa Costanzo sull’importanza del ricordo

Oggi Giorno della Memoria, 27 gennaio, che quest’anno celebra l’80° anniversario della liberazione di Auschwitz abbiamo voluto affrontare l’argomento con la Prof.ssa Giovanna Costanzo, professore associato di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Messina.
La celebrazione di questo giorno invita ciascuno a una riflessione sulla memoria storica e sul suo significato è fondamentale in un tempo in cui il rischio dell’oblio sembra sempre più concreto.
Professoressa Costanzo grazie, innanzitutto per questa opportunità di riflessione. Inizio con una prima domanda secondo lei, qual è il significato più profondo del Giorno della Memoria e perché è essenziale custodirla, specialmente per le nuove generazioni?

“Il “Giorno della Memoria” è stato istituito per ricordare quel 27 gennaio del 1945 in cui le truppe russe avevano liberato il campo di concentramento di Auschwitz scoprendo gli orrori provocati dalla “soluzione finale” di Hitler e che aveva provocato la morte di sei milioni di ebrei. Sicuramente fare memoria di fatti storici così tragici è importante per non dimenticare cosa è in grado di fare l’uomo quando ritiene che una determinata “categoria” di persone non sia degna di condividere il suo stesso spazio e che per questo ogni mezzo è lecito, ripeto, ogni mezzo, anche il più inumano, per uccidere e annientare. Ma la consapevolezza di ciò che uomini sono in grado di fare se assecondano la tentazione di “uccidere l’altro perché è altro” deve diventare il desiderio di aver cura delle tante relazioni in cui siamo immersi e la condanna di ogni forma di violenza: in questo senso, anche per le giovani generazioni, è importante fare “memoria preziosa” di quanto accaduto”.
Riflettere sulle parole e sulle esperienze di chi ha vissuto quel trauma
Ha appena sottolineato come è importante fare memoria dei fatti storici così tragici per non dimenticare il male compiuto. Le chiedo come possiamo evitare questo giorno si riduca a una semplice ritualità o, peggio, a una banalizzazione del dramma della Shoah?
“Si può evitare che questo Giorno si riduca a una semplice ritualità, a un dolorismo vuoto solo se si riflette sulle parole e sulle esperienze di chi ha vissuto quel trauma e solo se si cerca senza alcun pregiudizio di mettersi in ascolto delle loro storie. Solo, infatti, una comprensione dei fatti può diventare monito contro ogni forma di intolleranza e di incomprensione delle “ragioni dell’altro”, contro ogni facile stigma e trasformazione di chi è diverso in “nemico” o capro espiatorio delle nostre paure e malcontenti. Atteggiamenti sempre risorgenti e pronti a ritornare in ogni tempo sotto forme di guerre, di persecuzioni o di immotivate campagne di odio.”
La riflessione sulla Shoah con il supporto di filosofi come Arendt, Wiesel, Levi e Hillesum
Quali filosofi o autori ritiene fondamentali per comprendere l’importanza della memoria storica? Penso, ad esempio, a Hannah Arendt con la sua analisi sulla banalità del male o a Primo Levi e la sua testimonianza viva.
“La riflessione sulla Shoah è stata promossa da filosofi, scrittori, poeti e storici. Fra questi, come dicevi, sicuramente vi è Hannah Arendt per le sue celebri analisi sui regimi dispotici, sui totalitarismi e Primo Levi per le sue lucide condanne, ma anche scrittori come Elie Wiesel, che nei suoi libri, fra cui la Notte, non solo ha raccontato la sua personale esperienza ad Auschwitz ma le difficoltà chi deve “raccontare l’orrore” e il dolore patito dal sopravvissuto in qualità di testimone. Etty Hillesum, nelle cui Lettere e nel Diario, emerge la sua straordinaria e incredibile capacità di trasformare tutto l’odio avvertito nei campi in amore per il mondo; Emil Fackenheim nelle cui opere si scorge il difficile percorso di “risanare” le tante ferite inferte nel corpo, nello spirito, nella memoria di chi non vorrebbe più ricordare“.
La riflessione duplice di Ágnes Heller
Ágnes Heller, figura di spicco della filosofia ungherese, ha scritto pagine profonde sul tema della memoria e dell’etica. Quale contributo offre la sua riflessione al dibattito sulla Shoah e alla comprensione della responsabilità individuale e collettiva?
“La riflessione che Ágnes Heller dedica alla Shoah è duplice: da una parte è rivolta alla comprensione e analisi della modernità, ovvero di quei meccanismi spersonalizzanti della “società di massa” che hanno favorito la de-responsabilizzazione dei più, scomparsa nei rimandi infiniti della “catena di comando” e nell’incapacità di dar conto delle proprie azioni se interpellati; dall’altra è rivolta alla comprensione di quel male che si annida nel cuore dell’uomo quando riduce il suo prossimo ad un mezzo, ad una cosa. Eppure, nonostante questa analisi che porta avanti nell’arco di tutta la sua esistenza, non smette mai di stare dalla parte del bene, testimoniando la presenza nella storia di uomini e donne che hanno continuato a promuoverlo nonostante quanto stesse accadendo. Sostenendo che solo in nome e grazie a questi è ancora possibile nutrire la speranza di un mondo migliore, anche quando il male, la disperazione e la rassegnazione sembrano avere il sopravvento”.
Come insegna Ágnes Heller occorre stare dalla parte del bene. Lei professoressa insegna Filosofia Morale presso l’Università di Messina, quali strumenti educativi e culturali ritiene più efficaci per trasmettere il valore della giornata della memoria ai giovani?
“È difficile rispondere a questa domanda in maniera sintetica. Forse lavorando sulla alterità, sulla importanza delle relazioni, sul valore della memoria delle tante vittime, sulla cura e sulla attenzione verso la sofferenza di chi ci sta accanto, ovvero promuovendo la riflessione di filosofi come Buber, Levinas, Heller, Arendt, Ricoeur, Jaspers, che questi nuclei teorici hanno messo a tema, facendoli diventare patrimonio indiscusso della nostra tradizione, della nostra cultura e delle loro e delle nostre esistenze“.
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