Il maestro Franco Cilia vive ancora nel commosso ricordo della nipotina Ginevra
Stasera per la 29esima edizione del Premio Ragusani nel Mondo ci saranno due riconoscimenti alla memoria dedicati al pittore Franco Cilia e al fotografo Peppino Leone, recentemente scomparsi
L’antico filosofo Epicuro affermava che due sono i più grandi beni della vita, la saggezza e l’amicizia; solo che la prima finisce con il finire della vita, mentre l’amicizia dura anche dopo la morte. E Cicerone scriveva: “Amicitia absentes adsunt, et egentes abundant, et imbecilli valent et, quod dificilius dictu est, mortui vivunt”, cioè: “Grazie all’amicizia gli assenti sono presenti, i poveri diventano ricchi, i deboli diventano forti e, ciò che è più difficile a credersi, i morti vivono”.
E Cicerone scriveva: “Amicitia absentes adsunt, et egentes abundant, et imbecilli valent et, quod dificilius dictu est, mortui vivunt”, cioè: “Grazie all’amicizia gli assenti sono presenti, i poveri diventano ricchi, i deboli diventano forti e, ciò che è più difficile a credersi, i morti vivono”.
Dal cielo dei poeti, scrittori, pittori, scultori, musicisti, filosofi; insomma dal cielo degli artisti, dove mi trovo in ottima compagnia, perché questi artisti sono molto intelligenti, anche se parecchi di loro sono stati strambi e bizzarri, come sono stato in parte anche io; dal cielo degli Spiriti Magni, come li chiama Dante, dove mi ha collocato il mio carissimo amico Francesco Rando, a cui devo fare un rimprovero perché non mi ha dato l’estremo saluto come tante volte gli avevo chiesto, perché si è fatto sopraffare dalla commozione, a lui ho dato l’incarico di scriverti questa letterina, che è come se te l’avessi scritta io in prima persona, perché, per farlo io, avrei qualche piccolo impedimento.
Carissima mia nipotina Ginevra, le due frasi riportate all’inizio le ha scritto il mio amico Francesco in nota alla prefazione che io, con immenso piacere, ho scritto per il suo libro Donna-Sicilia ovvero la Sicilia al femminile; e allora, considerato che, grazie all’amicizia, i morti vivono e che io dal cinque febbraio di quest’anno ho dovuto intraprendere un viaggio, che temo sarà senza ritorno, se non nel ricordo di Vanna, di Pierfrancesco, di Lorenzo, dei nipoti, di tantissimi amici e, naturalmente, tuo, mi sono rivolto a lui, che non solo lo farà ben volentieri per farsi perdonare quella mancanza (beh anch’io non ho potuto presentare il suo libro, come avevo promesso, sebbene sono stato presente), ma anche perché sono sicuro che interpreterà al meglio il mio pensiero.
Ginevra, tu sei stata il regalo più bello e la stellina che ha rischiarato la mia vecchiaia, sì diciamolo pure e senza ipocrisia, vecchiaia. Già il bel nome Ginevra rievoca regine, miti, leggende, cicli cavallereschi, musiche, amori travolgenti, amore e morte ecc. Sei stata la stella che mi ha ispirato non solo tanti quadri, ma anche due libri e un terzo che, purtroppo, non ho potuto scrivere perché gli acciacchi dell’età avanzata me lo hanno impedito. Pazienza.
Ho saputo che hai sostenuto brillantemente gli esami di terza media (le notizie, soprattutto quelle buone, qui arrivano subito) con voto finale di tutti dieci e l’applauso dei professori; tu lo sai che, non si offendano gli altri nipoti, sei stata la mia prediletta per diversi motivi: primo perché sei l’unica nipote femminuccia e tu sai quanto ho ammirato, dipinto ed esaltato, nel corso della mia vita artistica, la bellezza femminile, che, per dirla con Dante, “è scesa dal cielo in terra a miracol mostrare”; e poi sei intelligentissima e bravissima a scuola; anch’io lo ero, ma, purtroppo, mi son dovuto fermare alla licenza elementare. Quello che non ho potuto fare io, sono sicuro che lo farai tu e non mi deluderai.
Il secondo motivo è perché, per la tua tesina, hai scelto un tema a me tanto caro: il teatro dell’assurdo. Anch’io ho rappresentato in tanti miei dipinti questo assurdo, questo irrazionale, le maschere nauseabonde. Non solo quadri ma anche scritti e teatro, da me recitato. Anche la mia vita, nonostante la tua stella che mi ha illuminato, verso la fine è stata un teatro dell’assurdo. E, infatti, nella tua tesina, mi hai citato: “Dipingevo e scrivevo di morte, ma nello stesso tempo mi accorgevo di non aver mai amato così profondamente la vita”; il mio amico, nel suo libro, ha citato una bellissima frase del filosofo Spinoza: “L’uomo libero pensa a tutto, tranne che alla morte; e la sua meditazione è una meditazione sulla vita, non sulla morte”.
In questo palcoscenico della vita, in cui ho recitato, verso la fine mi sono stancato “della recita, del proscenio sempre uguale, mentre accadimenti improvvisi annientavano la stessa facciata del riso esteriore”, come mi hai citato: la pandemia (tutti con le maschere per quel tragico carnevale, che è durato tanto), l’assurdità umana, la guerra, l’insipienza umana ecc.; accadimenti che confrontavo con la bellezza pura, gioiosa, luminosa e sempre nuova, che l’arte scopre, esprime ed esalta; quella pura bellezza che il poeta Foscolo canta essere l’una consolazione per gli uomini: “L’aurea beltade ond’ebbero ristoro unico ai mali // le nate a vaneggiar menti mortali”. E, nonostante i tanti successi in campo artistico, tu scrivi, citandomi ancora una volta, si accorge di essere “maledettamente solo nella mia angoscia”.
È vero che ho avuto tanti successi e sono stato sempre fiero della mia quinta elementare e tanti miei quadri adornano musei, gallerie d’arte e case private e, soprattutto, la casa museo di Via San Vito 44, dove vivo et vivam e, cioè, “vivrò” (verbo che ho rubato all’antico poeta Ovidio che lo ha usato orgogliosamente a conclusione della sua opera) in centinaia di dipinti e continuerò a parlare e a comunicare; ma, hai perfettamente ragione, non ho voluto mai abbandonare e la mia famiglia e il mio paese natale Ragusa; e sì che se fossi uscito avrei certamente avuto più visibilità e più successi, come tanti miei colleghi, non certamente più bravi e originali di me. È stata una scelta di vita.
Hai scelto per la tua tesina una tema a me tanto caro, come ti dicevo; in verità l’assurdo, l’irrazionale, il prevalere del non senso si può riassumere in una sola frase, che è stata il titolo di un mio libro, scritto con l’amico Andrea Guastella: “Il sonno della ragione genera mostri”; infatti scrivi: “La sua arte era molto ispirata a Francisco Goya, che denunciò le atrocità e la brutalità del conflitto in una serie di incisioni chiamata “Los Desastres de la Guerra”, che è una delle più potenti denunce della guerra”. Oggi, come si vede, è di straordinaria attualità; infatti, ieri come oggi il sonno della ragione genera mostri; eppure Dio aveva donato gratuitamente agli uomini una scintilla del divino; scrive, infatti il mio amico Francesco nel suo libro, citando il Faust del grande poeta tedesco Goethe, che Mefistofele, il diavolo, rivolgendosi scherzosamente a Dio, dice: “Scusami, non so dire belle frasi, anche se // tutti i presenti dovessero prendermi in giro. // Ti farebbe certo ridere il mio pathos, // tu non l’avessi persa l’abitudine di ridere. // Non so dir nulla di soli e di mondi: // vedo soltanto come gli uomini si affannano. // Il piccolo dio del mondo è sempre lo stesso, // buffo e strambo come nel primo giorno. // Vivrebbe un poco meglio, // se tu non gli avessi dato qualche lume del cielo. // Lo nomina ragione: e lo usa soltanto // per vivere più bestia di ogni bestia”.
Ecco, la ragione, un lume celeste, che il piccolo dio del mondo usa per vivere peggio delle bestie; altro che il sonno della ragione!
L’assurdo è tra gli uomini e tu, mia piccola Ginevra, cominci la tua tesina con un bel monologo (che hai recitato magistralmente), molto significativo e altrettanto emblematico, di Samuel Beckett, che del teatro dell’assurdo è stato uno dei maestri; infatti, per lui, l’assurdo è la chiara percezione di un mondo senza senso e di una condizione umana senza scopo; l’assurdo regna sovrano nella esistenza degli uomini e in una società, che, spesso, molto spesso, si dimostra ridicola, incomprensibile e irrazionale perché, come afferma il diavolo, che se ne intende, l’uomo usa la ragione per vivere “più bestia di ogni bestia”.
Ti sei innamorata del teatro; infatti hai scritto: “My passion for the theater; it was not like the other passions. I started it in October 2023, and I discovered a new world”, cioè la tua passione per il teatro è nata nell’ottobre 2023 e hai scoperto un nuovo mondo, tanto che ami questa passione più di ogni altra passione. Complimenti anche, e soprattutto, per la tua giovanissima età.
Hai dedicato l’ultima parte a me e scrivi che, per passione, come te, sono stato pittore, scultore, regista, scrittore e, naturalmente, ti ringrazio; hai accennato al mio Processo a Cilia del 2013, che si ricollega in parte al teatro dell’assurdo, dove entri in scena anche tu, che, diventata donna adulta, parli dell’amato nonno scomparso, inaugurando una mostra retrospettiva a Parigi.
Vedi che coltivo ancora questo sogno, se diventerai o non diventerai un critico d’arte, ed io già ti ringrazio ancora perché sono certo che farai di tutto per realizzare questo mio sogno.
“Dedico questo mio lavoro a mio nonno Franco Cilia, fiera e orgogliosa di essere sua nipote”: questa è la conclusione della tua tesina, datata Ragusa 25/06/2024. Che dire se non un grazie grande grande quanto è grande il tuo cuore e brillante la tua intelligenza. Anch’io sono fiero e orgoglioso di essere tuo nonno, cara e dolcissima Ginevra.
.. Tuo nonno Franco Cilia
Post scriptum
Pochi giorni prima che il mio carissimo Amico Franco Cilia si spegnesse, ho avuto l’opportunità di andarLo a trovare all’ospedale di Vittoria: era tutto intubato e mi è sembrato uno dei tanti Crocifissi da lui dipinti; si vedevano solo gli occhi e la mano, che gli presi e strinsi per tutto il tempo che durò la visita. Egli mi riconobbe, mi guardò intensamente e tenne la sua mano destra nella mia, quella prodigiosa mano che tanti miracoli di pittura aveva realizzato; gli parlai per un’ora delle tante cose che aveva fatto e anche di quelle che avevamo fatto insieme, dicendogli che i medici stavano facendo il massimo e che doveva guarire perché avevamo tanti progetti da realizzare ancora; egli mi guardava e abbassava leggermente la testa annuendo e stringendomi forte forte la mano. “Tu sei stato e sei il mio più grande Amico – Gli ripetei più volte – e Ti ringrazio infinitamente per questo immenso dono della Tua amicizia”. Annuì con la testa più volte. Ed io ricordai i tanti quadri che mi aveva donato con la solita dedica: “Al mio fraterno amico Francesco”.
Trascorsa l’ora di ricevimento, lo salutati, lo baciai; una lacrima spuntò dai suoi occhi ed io mi girai per non fargli vedere il mio pianto dirotto e scappai via. Non pensavo che quello sarebbe stato il nostro doloroso e tristissimo addio.
Francesco Rando