ll nero come quinta scenica. Da esso fuoriescono e con esso interagiscono in una sorta di dialogo performante le figure folgorate dal bianco ora diffuso ora smorzato che l’obiettivo di Majoli ha scelto di conferire ai soggetti in scena. Sia esso una figura in solitaria oppure un quadro d’assieme, il reporter sceglie di volta in volta cosa evidenziare per testimoniare la sua empatia con quanto fotografato.

“Anatomia di una guerra” ci viene suggerito da una didascalia sottostante ad una sequenza di immagini concernenti lo strazio di chi di quell’evento è costretto a subire le atrocità, ma questo termine potrebbe essere utilizzato per tutte le situazioni di sofferenza presenti nei vari racconti fotografici in mostra. Indagare, sezionare, mettere a fuoco i particolari per far sì che la cronaca, tanto accuratamente (in)seguita in numerose zone del pianeta, assurga a dignità di Storia.

Una visione lenta e riflessiva, profonda infine, atta a restituire quel pathos attraversato da un’istanza quasi religiosa che accompagna gli abbandoni, le migrazioni, le pandemie, la lenta consunzione in carcere. Tutto ciò che è umano è degno di essere attenzionato, tutto ciò che è umano merita di essere testimoniato pur nella sua cruda spietatezza in omaggio ad un bisogno di spiegazione, alla necessità di una verità assoluta alla quale tutti noi vorremmo approdare: forse basterebbe accettare l’assunto presente in quella sequenza di foto, tra le poche a colori, che così recita: TOUT VIENT DE DIEU.

Queste le mie riflessioni, nonostante il Majoli stesso, un momento prima che la mostra fosse inaugurata, abbia invitato gli intervenuti a non mitizzare la sua opera, ad evitare mirabolanti panegirici, sostenendo che in fondo le sue ” sono solo fotografie… solo pezzetti di carta.” Ma che fotografie! E che pezzetti di carta! Aggiungiamo noi. Una bella e feconda opportunità per Modica, e non solo, poterne fruire.

Anna Caschetto