Risanare senza illusioni: governare l’inefficienza con regole che funzionano (apriamo il dibattito)

Il dissesto del Comune di Modica, come ostinatamente sostenuto nei nostri precedenti articoli, non è stato soltanto un collasso finanziario, ma il risultato di un lento e persistente degrado culturale e politico.
Abbiamo visto come esso non sia un incidente improvviso, né un errore limitato a un singolo governo ma la manifestazione terminale di un modo di intendere la cosa pubblica che si è nutrito di superficialità, clientelismo, autoreferenzialità e assenza di visione strategica.
In questo senso, il dissesto è stato l’esito logico e quasi inevitabile di una lunga stagione di malgoverno.
È emersa una classe dirigente incapace di visione e di responsabilità, spesso più attenta all’autoconservazione che all’interesse collettivo. In questo contesto, parlare di “risanamento” non può significare solo rimettere in ordine i conti: deve significare innanzitutto un cambio di rotta nelle regole e nei meccanismi di governo della Comunità modicana.
Ogni crisi è sempre anche un’opportunità ecco perché può, e deve, diventare un momento di risveglio collettivo.
Esso ci impone di porre fine al gioco delle accuse reciproche, di uscire dalla retorica dell’“ultima colpa” e di riscoprire il significato autentico della responsabilità politica e civica. Non si tratta più di giudicare chi ha causato il disastro, ma di capire chi è disposto a partecipare alla sua ricostruzione.
Siamo convinti che il nostro punto di partenza di una possibile azione di risanamento è un paradosso: alla stessa classe dirigente, che ha determinato lo sfacelo, la legge affida il compito di risanare. Si sancisce il principio che una mediocrità così consacrata dai risultati, che tale resterebbe quand’anche si ricorresse ad elezioni, dovrebbe organizzare il ripristino della normalità amministrativa. È quindi necessario immaginare un percorso di risanamento che tenga conto di questo limite strutturale: un progetto che non pretenda una rivoluzione culturale improvvisa, ma che, al contrario, accetti il vincolo della mediocrità e lo trasformi in una leva.
L’idea è ambiziosa nella sua semplicità: costruire un impianto di misure, strumenti e procedure che, anche se applicate da amministratori poco lungimiranti, abbiano comunque effetti positivi. In altre parole, costringere la mediocrità ad ottenere risultati non mediocri, attraverso meccanismi che rendano quasi impossibile l’inefficacia, che premino la trasparenza, che rendano il torpore e l’inazione più faticosi dell’azione virtuosa.
Si tratta dunque di progettare un “sistema di vincoli produttivi”, dove ogni intervento, anche il più modesto, sia incardinato in una struttura che ne garantisca la tracciabilità, il controllo e la valutazione pubblica. Un sistema che neutralizzi l’opacità e l’improvvisazione, che non si affidi alla buona volontà dei singoli, ma a regole capaci di produrre effetti positivi nonostante tutto.
Questa seconda parte del lavoro intende allora delineare le linee guida di un progetto di risanamento strutturale, amministrativo e civico. Non un manuale tecnico, ma un percorso ragionato che metta al centro la cultura della responsabilità, anche quando a doverla esercitare sono soggetti poco inclini a riconoscerla.
È il tentativo di realizzare una forma concreta di “resistenza democratica”: non l’utopia di una rivoluzione culturale improvvisa, ma l’architettura paziente di una macchina amministrativa che funzioni anche con ingranaggi usurati, che premi l’efficienza senza eroismi e che restituisca ai cittadini fiducia nella possibilità del cambiamento.
Se questo lavoro servirà a riaprire un dibattito serio, ad alimentare un confronto libero e costruttivo, allora avrà raggiunto il suo scopo. In caso contrario, resterà comunque come testimonianza: del tentativo di ricondurre il fiume nel suo letto, di rimettere la politica sul binario dell’etica pubblica, di restituire alla parola “comunità” il suo senso più profondo.
Carmelo Modica