Maturare o indurirsi? Una sottile linea tra due percorsi tagliata dal filo di un rasoio

Questa domanda penetrante mi brucia nel petto, pulsa come una ferita che si rifiuta di guarire: “Siamo maturati bene o ci siamo induriti troppo?” Ah, quale crudele dilemma ci tormenta mentre attraversiamo il tempo! Sento il peso degli anni scorrere tra le mie dita, ogni cicatrice una testimonianza silenziosa, e il dubbio mi divora dentro.


Maturare… Pronuncio questa parola con riverenza, come se evocassi un processo alchemico dell’anima.

È la lenta e aggraziata trasformazione del bruco in farfalla, la crisalide che si stacca per spiccare il volo in colori vivaci. È la mente che si libera dai dogmi, abbracciando la vastità della conoscenza con una sete insaziabile. È il cuore che si espande, imparando ad amare senza riserve, a perdonare con la nobiltà di chi comprende la fragilità umana, ad accogliere la diversità con la bellezza di un giardino fiorito.

Maturare significa radicarsi nella saggezza acquisita, mantenendo però i propri rami flessibili per raggiungere la luce di nuove esperienze. È imparare a ridere delle proprie imperfezioni, a piangere per il dolore degli altri, a danzare sotto la pioggia torrenziale della vita con la gioia di chi ha trovato il ritmo.


Ma indurirsi… quella parola suona come un urlo bloccato nella mia gola, un brivido che mi corre lungo la schiena. È l’anima che si chiude come un’ostrica ferita, isolandosi nella propria amarezza. È il cinismo che si insinua come un parassita, corrodendo la fede nella bontà umana. È la sfiducia che costruisce muri insormontabili, separandoci dal calore dell’affetto sincero. Indurirsi significa fossilizzare i sentimenti, significa perdere la capacità di meravigliarsi dello splendore fugace di un istante, significa vedere il mondo in sfumature di grigio, dove prima c’era un arcobaleno di possibilità.

È ascoltare la melodia della vita come un rumore distante, senza che l’anima vibri all’unisono.


Sento la sottile linea tra questi due percorsi come il filo di un rasoio che taglia la mia stessa essenza.

Quante volte, nel nostro furore per proteggerci dalle delusioni, erigiamo barriere così alte da imprigionarci nella solitudine? Quante volte la paura della vulnerabilità ci porta a pietrificare il nostro cuore, a diffidare di ogni sorriso, di ogni abbraccio offerto? È una difesa comprensibile, certo, ma che crudele ironia! L’armatura che forgiamo per proteggerci diventa la nostra prigione, soffocando la spontaneità, la gioia genuina, la capacità di connetterci veramente.


Invoco una maturità che ci renda più umani, più compassionevoli, più amanti della vita nella sua pienezza. Che le rughe sui nostri volti siano mappe di risate condivise, di lacrime versate con empatia, di esperienze vissute con intensità. Che la nostra saggezza sia temperata dall’umiltà di coloro che sanno che non impariamo mai abbastanza.

Che la fiamma della curiosità non si spenga mai nei nostri occhi e che la capacità di indignarci per l’ingiustizia resti accesa nei nostri cuori.
Rossana Köpf psicoanalista



Rossana Köpf psicoanalista

Immagine di copertina tratta da Pisichedintorni

barriere, paura, saggezza, vulnerabilità

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