Vescovo Sardo riabilita il sacerdote indiano: non è guaritore. Si attendono le decisioni di Mons Rumeo
Forse si è avuta troppa fretta nel giudicare don Antyson Anthony Cheruvarappil, il sacerdote di origini indiane, accusato di utilizzare metodi discutibili nei confronti di coloro che avevano partecipato ai suoi incontri in alcune parrocchie modicane fra cui San Giorgio e San Luca.
Ma forse, proprio grazie al clamore suscitato attorno al suo caso, è riuscito a riabilitarsi anche agli occhi di chi lo aveva condannato.
È datata, infatti, 19 giugno, la lettera di Mons. Sebastiano Sanguinetti, Vescovo di Tempio Ampurias, che revoca il precedente divieto di svolgere il suo ministero nella Diocesi sarda.
Il Vescovo, quindi, è tornato sui propri passi anche grazie, come abbiamo scritto qualche giorno fa, alle credenziali del Vescovo della Diocesi di Udaipur, in India, Mons. Devprasad Jhon Ganawa, che aveva vantato le qualità di don Antyson, affermando era stato lui stesso ad inviarlo in Italia.
Eppure, tutto era partito proprio dal divieto di Mons. Sanguinetti di svolgere nella diocesi sarda il suo ministero per “grave turbamento spirituale” e “disorientamento” dei fedeli (cfr. Noti-fica del 01.02.19 della Diocesi di Tempio-Ampurias in Sardegna).
Da qui il Vescovo di Noto Mons Rumeo si era sentito in dovere di allertare i sacerdoti della sua diocesi della presenza di questo sacerdote, scatenando una vera e propria caccia al santone. In realtà, Don Anthony, a seguito dell’incontro avuto con il Vescovo sardo ha riconosciuto di aver fatto un errore, a suo dire in buona fede, esercitando senza autorizzazione il ministero presbiteriale in case private della città di Olbia.
Il Vescovo nella nota scrive che “E’ fatto obbligo al presbitero di attenersi in futuro alle norme canoniche generali e a quelle particolari della Diocesi in materia di pastorale e di culto, sempre sotto la guida e in collaborazione con il parroco locale, eccettuati l’esorcismo e le cosiddette preghiere di liberazione”.
In realtà dietro tutta questa storia forse c’è solo una cattiva informazione o magari l’incapacità di accettare un modo diverso di interfacciarsi con i fedeli e se non fosse stato per la lettera del Vescovo della Diocesi di Udaipur seguita da quella del Vescovo Sardo si sarebbe continuato ad accusare Don Anthony ingiustamente.
Certo, il vescovo di Noto Mons Rumeo, non poteva non tenere conto del divieto imposto dal suo collega sardo al sacerdote indiano e giustamente, come ha sottolineato nella sua lettera, in spirito di prudenza pastorale ha esortato i fedeli “a non intrattenere con il sacerdote alcun tipo di rapporto spirituale, e non frequentare riunione o incontri alla ricerca di manifestazione carismatiche straordinarie e a non invitare altre persone a parteciparvi”.
Eppure, chi aveva avuto modo di conoscere il sacerdote indiano aveva subito preso le sue difese. Bisognerà quindi capire se adesso anche il Vescovo di Noto farà un passo indietro come fatto dal Vescovo della Diocesi sarda e riabiliterà il sacerdote oppure, nonostante tutto, rimarrà fermo sulla propria decisione.
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